venerdì 28 dicembre 2007

MOZIONE BIPARTISAN IN BASE AI PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE


Su iniziativa del senatore repubblicano Antonio Del Pennino, quattordici senatori, sia del centro – destra sia del centro – sinistra, hanno presentato la seguente mozione relativa alla ricerca sulle cellule staminali, che si contrappone a quella presentata dalla senatrice Binetti.

Il Senato
premesso che:

- la libertà di ricerca scientifica è un principio costituzionalmente garantito determinante per lo sviluppo della conoscenza e il benessere delle persone;
- la ricerca scientifica sulle cellule staminali è unanimemente riconosciuta come settore fondamentale e prioritario per il futuro della medicina;
- i metodi per ottenere linee cellulari staminali sono diversi e la comunità scientifica italiana e internazionale è impegnata nelle diverse tecniche, alcune delle quali implicano l'utilizzo di embrioni ed altre no; le informazioni e i progressi ottenuti attraverso una particolare tecnica sono comunque importanti per chi lavora su tecniche diverse, e la scelta tra una tecnica ed un' altra è affidata – nell'ambito delle rispettive normative – a valutazioni di tipo scientifico;

impegna il Governo:

- a garantire che i fondi destinati dallo Stato italiano alla ricerca scientifica in generale, e a quelle sulle cellule staminali in particolare, siano assegnati attraverso criteri di massima trasparenza e pubblicità, con meccanismi di valutazione tra pari (peer review) che garantiscano la credibilità scientifica delle scelte effettuate, senza che siano pregiudizialmente determinate delle discriminazioni contro particolari tecniche di ricerca legali nel nostro Paese, siano esse tecniche di ricerca sulle cellule staminali cosidette "embrionali" (ottenute da linee cellulari importate dall'estero) o cosidette "somatiche" (o adulte);
- a mantenere il proprio sostegno alla soluzione di compromesso stabilita con l'approvazione del Settimo programma quadro dell'Unione europea, che prevede la finanziabilità di entrambi i principali filoni di ricerca sulle cellule staminali attraverso regole severe a garanzia dell'interesse generale e del carattere scientifico delle valutazioni.
Primo firmatario è il Sen. Antonio Del Pennino (PRI), le altre firme sono di Antonio Paravia (AN), Gavino Angius (Socialisti per la Costituente), Alfredo Biondi, Lino Jannuzzi, Ferruccio Saro, Egidio Sterpa, Giorgio Stracquadanio (Forza Italia), Enzo Bianco, Antonio Maccanico, Valerio Zanone (Partito Democratico), Natale D'Amico (Liberaldemocratici), Madga Negri (Gruppo per le autonomie).

mercoledì 12 dicembre 2007

Sveglia Italia…che la situazione non è buona

Queste settimane convulse e schizofreniche, che hanno caratterizzato il mondo della politica italiana, mi hanno portato a riflettere. Una riflessione, devo ammettere, a tratti sofferta ma tutto sommato utile per cercare di capire dal profondo le motivazioni del nostro impegno.
Reputo la mia analisi più figlia dello stomaco che della mente, anche perché cercare di trovare logica negli steps ai quali stiamo assistendo da parte di coloro che ritengono, indubitabilmente supportati dal consenso degli elettori, di governare non solo il nostro Paese, ma soprattutto due filosofie di società diverse e contrapposte, sia un esercizio intellettuale di difficile comprensione, e quindi è preferibile discuterne in termini di “digestione”.
Il Centro-Sinistra ha fallito su tutta la linea, anzi si è dimostrato peggio di quello che molti analisti avevano previsto. Prodi si è rivelato inadeguato al ruolo che la metà degli elettori ( poco più o poco meno ) gli aveva consegnato alle passate elezioni. La nascita del Partito Democratico, che in una democrazia matura e compiuta sarebbe stato salutato come un traguardo importante, si sta invece trasformando in una manovra verticistica ove ognuno dei partecipanti alla querelle sta cercando di riposizionarsi. Walter Veltroni con enfasi annunciò che il PD sarebbe stato un partito senza tessere, aperto ai cittadini per i cittadini. Non è vero! Prova ne sia il fatto che nonostante il romantico e teatrale scioglimento dei due partiti che costituiscono la cellula primaria dell’operazione - DS e Margherita - continuino tranquillamente la campagna per i tesseramenti ( per verificare le mie parole basta connettersi ai siti ufficiali http://www.democraticidisinistra.it/ e http://www.lamargherita.it/ ).
Non bastasse tutto questo assistiamo quotidianamente al patetico teatrino senatoriale che ci offre, non fosse per la gravità della situazione, uno spettacolo paradossale.
Una maggioranza divisa e litigiosa con due leader, uno con contratto a termine, Prodi, l’altro in pectore nominato da primarie farlocche dal risultato già scritto. Ultima, ma solo in termini di tempo, l’ufficiale dichiarazione niente meno che del Presidente della Camera Fausto Bertinotti ( terza carica dello Stato ndr ) il quale sancisce, se vogliamo con grande onestà intellettuale, la fine oggettiva dell’esperienza di questo Esecutivo.

Ma se Sparta piange, Atene non ride.

Infatti non è da meno complessa la condizione nel Centro-Destra.
Berlusconi in Piazza San Babila annuncia la nascita del Partito del Popolo ottenendo, da grande comunicatore quale è, il risultato voluto di offuscare la crescente campagna mediatica nei confronti del Partito Democratico. Ma a quale popolo Berlusconi si rivolge? Quello che crede in un movimento democratico e liberale capace di contrapporsi allo statalismo della sinistra? Quello che spera in un futuro meno oppresso dalle logiche di Palazzo? Oppure quello che, genericamente ed emotivamente cerca solo un alternativa a questo Centro-Sinistra senza distinguere le diverse realtà politiche che si muovono nell’area dell’opposizione?
Gli alleati del Centro-Destra, spiazzati dall’iniziativa estremamente efficace del leader della CdL, hanno reagito più in preda ad un’isteria irrazionale che non ad una riflessione politica. Il risultato? Gli elettori della Casa delle Libertà, confusi, assistono al tutti contro tutti.

Ora, personalmente, di quello che faranno gli altri partiti del Centro-Destra poco mi interessa, non per superficialità ma perché quello che mi tocca più sul vivo è quello che farà il Partito Repubblicano.
La Convention di Milano ha suscitato un grande interesse e soprattutto ha dato una vigorosa spinta emotiva a coloro che ancora sentono vivi i valori repubblicani, credono che gli strumenti, gli spazi per portare avanti le battaglie liberal-democratiche ci siano come ci sono sempre stati ed aderiscono con entusiasmo a tutto ciò che può servire per promuovere tali principi, ed encomiabile è l’atteggiamento della dirigenza nazionale che nonostante la generale situazione di caos, continua tenacemente a supportare ed incoraggiare tali occasioni d’incontro.

Restano aperte tante questioni, la legge elettorale, il referendum, la sostanziale impossibilità di fare previsioni, non dico a lungo, ma nemmeno a medio termine a causa del perenne e continuo mutamento del panorama politico, ma noi abbiamo l’obbligo morale, il dovere civile di essere protagonisti del cambiamento.
La diatriba sulla riforma della legge elettorale è di scarso interesse per tutti i cittadini che la mattina si recano a lavoro negli uffici, nelle fabbriche, nelle attività commerciali ed a loro dobbiamo dare risposte politiche. Non stanno svegli la notte perché non sanno se andranno a votare alla tedesca, alla francese o alla spagnola, restano svegli perché sono preoccupati per il mutuo della loro casa, la cui rata cresce in maniera esponenziale e non ne capiscono sino in fondo il motivo, non dormono perché non sanno prevedere il futuro di loro figlio che finita l’Università non sa se verrà recepito come risorsa per il Paese o come peso sociale in quanto disoccupato, sono desti perché neanche nelle loro abitazioni si sentono al sicuro.

Alcuni pensano che in questi frangenti meglio sia restare fermi ed attendere che la situazione diventi più chiara, meglio delineata. Io ritengo che, seppur con prudenza ed oculatezza, caratteristiche peculiari del nostro Partito, dobbiamo comunque essere pronti ad intercettare ed accogliere quella parte di elettorato che cercano un referente serio e defilato dalla “politica spettacolo”. Abbiamo tutti la voglia, la passione, la preparazione per essere protagonisti di questi tempi ed assumerci la responsabilità di partecipare attivamente al cambiamento.

Non resta che ricordarselo tutti i giorni e non rimane altro che lavorare perché questo si avveri.

Roberto Arosio
Segretario Esecutivo PRI
Lombardia

lunedì 10 dicembre 2007

Intervento del Senatore Antonio Del Pennino al convegno su “SICUREZZA E TERRITORIO” promosso dal Consigliere De Angelis presidente del Gruppo Misto di Palazzo Marino

Il tema della sicurezza e della lotta alla criminalità è da sempre problema per i governanti.

Ma si presenta con particolari caratteristiche nelle moderne società industriali.

Aggravato dal problema del fenomeno della globalizzazione e dalle grandi ondate migratorie.

Aggravato in quelle realtà che vedono confinanti società del benessere e realtà sottosviluppate.

Non è certo un problema solo italiano ed europeo. Basti pensare a quanto avviene alla frontiera tra USA e Messico.

L’Italia però è più esposta di altri. Per la vicinanza coi paesi africani del Mediterraneo e dei paesi europei che escono dall’esperienza comunista che aveva procurato condizioni di grave indigenza.

Ma esposte anche per la presenza e l'incidenza di grandi organizzazioni criminali, sempre alla ricerca di manovalanza, da arruolare e che trovano in molti disperati brodo di coltura.

Questo pone problemi alla politica e agli amministratori pubblici, stretti tra due opposte esigenze.

Quella di reprimere per garantire la sicurezza dei cittadini, e quella di non violare diritti elementari di libertà.

E il rischio è che il pendolo tra queste due opposte esigenze nelle sue oscillazioni non trovi il punto di equilibrio.
Che si ceda a tentazioni ultrarepressive, identificando emarginazione sociale e micro – criminalità senza cercare, proprio per estirpare la seconda, di affrontare la prima. O si indulga ad un “buonismo caritativo”, giustificando in nome della solidarietà al “povero” all’”emarginato” anche violazioni della legge, e delle normali regole di convivenza.

Una risposta politica seria deve cercare di prevenire, più che reprimere, ma non può sfuggire al dovere di interventi repressivi quando questi si rendono necessari per garantire i diritti del cittadino, rispetto a chi non li rispetta.

E’ un punto di equilibrio difficile da raggiungere, sia per i legislatori che per gli amministratori, entrambi sottoposti a contrastanti pressioni.

Ma è una ricerca, quella del punto di equilibrio che ci deve sempre ispirare.
E lo deve fare oggi con riferimento a due temi che abbiamo nell’agenda parlamentare.
Mi riferisco al decreto legge relativo all’allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza di cittadini comunitari, e al disegno di legge annunciato dal governo, anche se non ancora presentato alle Camere, relativo alle nuove attribuzioni ai Sindaci di funzioni di competenza statale e a una serie di disposizioni relative a reati contravvenzionali che violano il tessuto urbano.

Sul 1° punto:
si tratta di un decreto modificativo del decreto legislativo della direttiva 2004/38/CE.

Ora la direttiva 2004/38/CE è stata redatta al fine di tutelare il cittadino comunitario dalle eventuali restrizioni di Stati membri dell’Unione del suo diritto di libera di circolazione. Essa, quindi è orientata a proteggere chi si presume entri regolarmente in un altro Stato dell’ Unione,è cioè concentrata sull’ingresso di chi vuole stabilirsi per lavoro e protegge costui da un regime di facili allontanamenti.
La realtà deve invece tenere conto che esiste una fascia di cittadini provenienti da Paesi comunitari, che non hanno nessuna intenzione di farsi riconoscere, di rispettare la legge e di lavorare legalmente: persone che entrano nel territorio nazionale per porsi ai margini della vita sociale, e spesso delinquere dopo averlo già fatto nei Paesi d’origine.
La situazione di costoro, pur non essendo forse contemplata al momento dell’emanazione della direttiva, trovava, però, un condizionamento al comma 5 dell’art. 5 della stessa che prevede, a proposito del diritto d’ingresso: “Lo Stato membro può prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.
Tale disposizione non è stata però recepita dal decreto legislativo 30/2007 che nulla prevede sulla dichiarazione d’ingresso e solo prescrive all’art. 9 l’obbligo, per i cittadini dell’Unione che intendono soggiornare in Italia per un periodo superiore a 3 mesi, di iscriversi all’anagrafe.
Ora è evidente che questa mancata attuazione nella nostra legislazione di un obbligo che la direttiva consente di prescrivere impedisce ogni effettiva verifica sulla data di ingresso del cittadino comunitario e conseguentemente della data ex quo lo stesso deve richiedere il permesso di soggiorno, favorendo la permanenza oltre i 3 mesi consentiti.
Né questa disposizione viene modificata dal decreto presentato dal governo 1/11/2007 che non fissa alcun termine inderogabile per il cittadino comunitario, una volta entrato, di dichiarare la sua presenza sul territorio nazionale.
Ecco un esempio in cui la carenza del legislatore nel fissare una norma in prevenzione, finirà poi col dover imporre il ricorso a misure repressive.

Il provvedimento di allontanamento di coloro che non hanno acquisito il diritto di soggiorno non è precluso dalla direttiva n. 38. La direttiva 38 vieta l’immediato allontanamento solo per coloro che, avendo già maturato il “diritto di soggiorno” – perché originariamente in possesso dei requisiti -, poi hanno perduto i requisiti medesimi; non riguarda invece chi, non avendo provveduto né a dichiarare la propria presenza né a iscriversi all’anagrafe, non può rivendicare il diritto di soggiorno.
Anche su questo punto il decreto legislativo 30/2007 appare più lassista della direttiva. Né a tal proposito innova il nuovo decreto legge del governo.
E’ evidente che se, rispetto a una direttiva europea garantista, il legislatore nazionale introduce una normativa che allarga le possibilità di permanenza sul territorio nazionale e riduce la possibilità di allontanamento questo suona come un richiamo alle presenze illegali nel nostro paese.
Ma vi è di più.
Il decreto legge presentato dal governo rappresenta la correzione di “un errore tecnico” – contenuto nel decreto legislativo 30/2007 – errore tecnico, come ha correttamente riconosciuto il Ministro Amato alla 1a Commissione del Senato il 25/9/2007, che ha in qualche modo ridotto al possibilità di espulsione di un “cittadino comunitario”.
Si tratta della mancata previsione di ricorrere all’espulsione con l’accompagnamento alla frontiera per quei cittadini per cui esistono, secondo i termini della direttiva, motivi imperativi di Pubblica Sicurezza.
E’ una questione annosa, che si pose già in occasione del decreto Martelli del ‘90 sugli extracomunitari. Quello dei limiti alle espulsioni con accompagnamento alla frontiera.
E l’esperienza indica che l’espulsione attraverso intimazione senza accompagnamento alla frontiera resta una grida manzoniana.
E anche nella vigenza del decreto 181/2007 che lo ha introdotto per i cittadini comunitari come caso straordinario i dati ci dicono che su 177 provvedimenti di espulsione decisi dopo l’entrata in vigore del decreto, secondo dati del Ministero degli Interni, solo 78 sono stati eseguiti per motivi imperativi.

Alcuni brevi cenni ora sul disegno di legge che dovrebbe consentire a livello locale maggiori possibilità di intervento per la sicurezza della città.
Si tratta del provvedimento richiesto tra agosto e settembre a gran voce soprattutto da sindaci del centro – sinistra (Domenici, Cofferati, Chiamparino).
Il disegno di legge governativo – ammesso che rimanga quello – ragione per cui il giudizio è provvisorio – prevede tre misure utili: maggiori sanzioni per l’impiego dei minori nell’accattonaggio, consente l’accesso della polizia municipale alla banca dati della polizia statale, contiene nuove norme per la pubblicazione del provvedimento nella casa comunale in sostituzione delle notificazioni per quanto riguarda le contestazioni delle violazioni amministrative.
Ma mantiene come perseguibili solo a querela di parte i reati di danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di cose altrui , occupazione di suolo pubblico e generica rimane, in quest’ultimo caso, la previsione che i sindaci possano ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti.
Più incisiva invece la disposizione che prevede, se si tratta di occupazione a fini di commercio la chiusura dell’esercizio.
Ma quella che appare ancora vaga e non incidente è la nuova formulazione dell’art. 54 del TUEL sulle competenze dei Sindaci, che affida loro generici compiti relativi alla” vigilanza per quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico, informandone il prefetto” e quello di “assicurare la cooperazione della Polizia Locale con le forze di polizia statale, secondo forme che saranno disciplinate con apposito regolamento del Ministero dell’Interno”, che chissà quando verrà.
Anche qui quindi, per tornare a quanto dicevo all’inizio, siamo in presenza di norme che non garantiscono la prevenzione e si riducono a contemplare interventi repressivi di dubbia efficacia.
E’ necessario invece uno sforzo di tutta la politica per vincere l’illusione di poter convivere con le baraccopoli, gestendo in modo indolore l’immigrazione irregolare.
E su questo terreno sono chiamate in prima fila le responsabilità delle amministrazioni locali.
Ma è anche necessario uno sforzo proprio nella logica della prevenzione, per evitare – uso io, laico non sospetto di debolezze verso Oltretevere - le parole del Cardinal Martini: “per evitare, cioè, uno scontro di civiltà, ma dimostrare che noi cresciamo e maturiamo proprio nel confronto col diverso”.
INTERVENTI DEL SENATORE ANTONIO DEL PENNINO IN SENATO SUL DECRETO LEGGE RELATIVO ALLONTANAMENTO DAL TERRITORIO NAZIONALE DI CITTADINI COMUNITARI PER ESIGENZE DI PUBBLICA SICUREZZA.
Signor Presidente, illustrerò l'ordine del giorno G101, da me presentato, che tende ad indicare una soluzione che può contribuire a risolvere, sia pure parzialmente, il grave problema del sovraffollamento delle carceri italiane. Sappiamo tutti come questo fenomeno dipenda in modo consistente dalla presenza di detenuti di nazionalità straniera, prevalentemente extracomunitari.
Nei confronti di questi ultimi, in base all'articolo 15 del decreto legislativo n. 286 del 1998, è previsto che l'esecuzione dell'espulsione avvenga solo subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione. È pur vero che il successivo articolo 16 dello stesso decreto legislativo prevede che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per una reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta delle parti, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, nei confronti di uno straniero rispetto al quale ricorrano gli estremi di espulsione amministrativa, quando ritiene di dover applicare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrano le condizioni per ordinarne la sospensione condizionale, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Ma la seconda previsione interessa sicuramente una quota marginale rispetto ai condannati ad una pena detentiva superiore. E queste norme riguardano solo, come dicevo, gli extracomunitari.
Per quanto riguarda, invece, i cittadini comunitari, il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, nulla dice in proposito. Ma è evidente che anche in questo caso, per i princìpi generali, vale il criterio della preventiva espiazione della pena rispetto al provvedimento di espulsione. Al massimo si potrebbe ipotizzare una procedura quale quella delineata dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 286, in ragione della previsione contenuta nell'articolo 31 della direttiva comunitaria, che prevede l'immediata espulsione qualora il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. Ma si tratta di un'ipotesi interpretativa, nulla di più. Inoltre, la norma non è stata recepita nel citato decreto legislativo n. 30 di attuazione della direttiva, né ripresa del decreto oggi al nostro esame.
Siamo, quindi, in presenza di una materia per la quale appare opportuna una più completa ridefinizione normativa, sulla base di appositi accordi di carattere internazionale. Mentre per quanto riguarda i Paesi extracomunitari la possibilità di giungere a convenzioni, che prevedono l'ipotesi che il cittadino condannato in Italia venga espulso ed espii la pena nel Paese d'origine, appare francamente remota e richiederebbe comunque una molteplicità di accordi bilaterali, diversa invece è la situazione per quanto riguarda i cittadini comunitari.
In questi casi appare possibile ipotizzare una convenzione in sede europea che stabilisca che il cittadino comunitario, condannato per fatti previsti come reati nel Paese ospitante, qualora gli stessi fatti siano considerati reati anche dalla legislazione del Paese d'origine, possa esser espulso dal Paese ospitante ed il Paese d'origine garantisca l'espiazione della pena nei suoi istituti penitenziari, salva la possibilità ovviamente di ricorrere avverso la sentenza, se non definitiva, del Paese che l'ha emessa presso gli alti gradi di giudizio dello stesso, magari usando lo strumento della teleconferenza, ormai ampiamente utilizzato nei procedimenti giudiziari.
Si tratterebbe di una soluzione estremamente auspicabile, che rafforzerebbe la collaborazione giudiziaria nei Paesi dell'Unione; renderebbe più facile il recupero del reo e, per quanto riguarda il nostro Paese, servirebbe anche, se in misura ridotta, ad alleggerire il sovraffollamento delle carceri. Questo è il senso dell'ordine del giorno presentato per impegnare il Governo a farsi promotore a livello europeo di una convenzione di questo tipo.
GIOVEDI' 29 NOVEMBRE 2007
Signor Presidente, desidero fare una dichiarazione molto pacata e serena su questo subemendamento partendo dalla lettura dell'articolo 5, comma 5, della direttiva 2004/38/CE, cui si ispirano sia l'emendamento del Governo, sia il subemendamento del collega Schifani ed di altri senatori. L'articolo 5, comma 5, di quella direttiva stabilisce che: «Lo Stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza»; quindi la facoltà è contenuta nella direttiva. Tuttavia, tale norma dà una facoltà di prescrivere un obbligo e non un'altra facoltà: questo è il punto centrale. Ecco perché il termine «può» a mio avviso deve essere sostituito dal termine «deve», come propone il subemendamento 1.300/3 (testo 2).
Tuttavia, vi è di più, in quanto dall'emendamento del Governo deriva una sanzione indiretta, sia pure non di particolare rilevanza, cioè che in assenza di una dichiarazione di presenza, si presume che la presenza decorra già da tre mesi. Pertanto, se diamo una facoltà e non prevediamo un obbligo di fare tale dichiarazione, non aiutiamo il cittadino comunitario, lo mettiamo in una condizione di maggior confusione e debolezza; infatti, poiché egli non sa di dover fare questa dichiarazione, ma sa genericamente che la può fare, è molto più difficile che la faccia e che quindi abbia un titolo... (Il microfono si disattiva automaticamente).
MERCOLEDI' 5 DICEMBRE 2007
Signor Presidente, Colleghi Senatori,
si è arrivati al voto finale sul disegno di legge di conversione del decreto relativo all'allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza di cittadini comunitari in un clima diverso da quello che i repubblicani si erano augurati.
Non cioè a conclusione di un positivo confronto tra maggioranza e opposizione su un tema che, come ci ha ricordato anche ieri il Capo dello Stato, richiederebbe condivisione e non conflittualità, ma a seguito di un irrigidimento della maggioranza che, con la reiezione prima di quasi tutti gli emendamenti dell'opposizione e il ricorso poi da parte del Governo al voto di fiducia su un emendamento relativo alle parti più qualificanti del testo, ha interrotto ogni possibilità di dialogo.

A questo si è giunti sotto le pressioni della sinistra antagonista che sostiene l'attuale esecutivo , che non ha consentito quelle correzioni che sarebbero state necessarie per rendere il provvedimento realmente efficace.
E non era già di per sé compito semplice, perché i margini entro cui dovevamo muoverci erano abbastanza ristretti in quanto non potevamo distaccarci dalle prescrizioni contenute nella direttiva europea che era stata redatta con l'obiettivo di tutelare il cittadino comunitario dalle eventuali restrizioni di Stati membri dell'Unione rispetto al suo diritto di libera circolazione , e ha quindi natura squisitamente garantista e non ha previsto il diffondersi del fenomeno, verificatosi con l'allargamento dell'unione, di cittadini provenienti da altri paesi europei che si trasferivano per porsi ai margini della vita sociale del paese ospite e delinquere, dopo averlo magari già fatto nei paesi di origine.
La situazione di costoro , pur non essendo contemplata al momento dell'emanazione della direttiva, trovava però una possibilità di controllo al comma 5 dell'articolo 5 della stessa che prevede , a proposito del diritto di ingresso, che lo stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza sul territorio nazionale in un termine ragionevole non discriminatorio e prevedere proporzionate sanzioni.
Ora il disegno di legge che ci accingiamo a votare non prevede né questa prescrizione né il termine, prevede solo la facoltà del cittadino comunitario di dichiarare il suo ingresso nel paese ospite, vanificando quindi ogni effettiva possibilità di controllo.
Ma il punto più delicato e irrisolto resta un altro: quello delle forme attraverso le quali si dà corso al provvedimento di espulsione .
E' una annosa questione che si pose già, a proposito dei cittadini extracomunitari, in occasione del decreto Martelli del '90.
L'esperienza di questi anni ci ha insegnato che l'espulsione attraverso intimazione senza accompagnamento alla frontiera resta una grida manzoniana .
Ora il decreto di cui stiamo discutendo la conversione, al pari dell'emendamento su cui il governo ha posto la fiducia, dà una definizione limitativa dei motivi imperativi di pubblica sicurezza che, in base alla direttiva, possono consentire l'espulsione immediata .
Prova ne è il fatto che i dati del Ministero dell'Interno ci dicono che nella vigenza dello stesso decreto, su 177 provvedimenti di espulsione decisi dopo la sua entrata in vigore, solo 78 sono stati eseguiti per motivi imperativi, e quindi con accompagnamento alla frontiera .
Dopo l'efferato omicidio di Giovanna Reggiani, su pressione dell'onorevole Veltroni, il Governo si era deciso a ricorrere a un decreto , presentandolo come uno strumento che aveva valore non solo repressivo ma anche preventivo, per il suo carattere di deterrenza .
Temiamo che, per la debolezza del suo impianto, il provvedimento che ci accingiamo a votare, quando ne saranno a tutti evidenti i contenuti, non solo si rivelerà strumento di dubbia efficacia per gli allontanamenti dal territorio nazionale, ma non avrà nemmeno effetto di dissuasione rispetto a coloro che sono venuti nel nostro Paese non per integrarsi e lavorare, ma con tutti altri obiettivi.
Non è una logica ciecamente repressiva quella che non ci consente di votare questo provvedimento, ma la preoccupazione che, se alle declamazioni seguiranno dimostrazioni di impotenza rispetto al fenomeno dell'immigrazione irregolare, lo stesso sia destinato ad aggravarsi.

GIOVEDI' 6 DICEMBRE 2007

INTERVENTI DEL SENATORE ANTONIO DEL PENNINO SULLA LEGGE FINANZIARIA 2008

Signor Presidente, l'emendamento 1.2 si colloca nella logica di quanto ho avuto modo di affermare ieri in sede di discussione generale, quella cioè di cercare di rovesciare la tendenza che ci sembra propria di questo Governo del tassa e spendi, fissando, quindi, un paletto preciso rispetto alla ipotesi che si verifichino entrate maggiori di quelle che sono state preventivate dal Governo, affinché queste non vengano disperse in mille rivoli, in mance e in spese minori ma vengano invece utilizzate per ridurre innanzitutto il deficit e successivamente la pressione fiscale.
Abbiamo preso per buona la cifra indicata dal Governo nell'allegato 8 alla finanziaria che aveva presentato, cioè 426.708 milioni al netto delle regolazioni contabili e debitorie; cifra che troviamo poi confermata anche nelle tabelle allegate al testo licenziato dalla Commissione.
Conseguentemente, partendo da questo dato, affermiamo che le maggiori entrate tributarie che si realizzassero nello stesso esercizio vanno prioritariamente destinate a realizzare gli obiettivi di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e sui saldi di finanza pubblica definiti dal DPEF (ed in questo non modifichiamo la previsione contenuta nel testo della Commissione). In caso in cui le maggiori entrate siano eccedenti rispetto a tali obiettivi prevediamo invece una destinazione diversa da quella decisa dalla Commissione e cioè che debba essere istituito un apposito fondo, denominato fondo per il giusto indennizzo fiscale, da destinare, con successivi provvedimenti, esclusivamente al taglio lineare dell'IRPEF e dell'IRES, non ad una riduzione selezionata come quella che prevede la Commissione.
Questo ci sembra rispondere ad una logica, secondo noi, fondamentale, quella di indicare una volontà precisa da parte del Parlamento di ridurre la pressione fiscale qualora dovessero giungere ulteriori entrate, dopo che queste sono state destinate alla riduzione del disavanzo, e porre, ripeto, un paletto al tentativo di spendere questi quattrini in modo indiscriminato. Questa è la logica del mio emendamento che raccomando al voto dell'Assemblea.
MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE 2007 seduta antimeridiana

Signor Presidente, intervengo a titolo personale per preannunciare il voto favorevole sull'emendamento 2.800, rispetto ad una situazione che ha sollevato da parte del Commissario europeo - come è stato poc'anzi ricordato - una richiesta di chiarimento.
Per quanto riguarda l'affermazione contenuta nella dichiarazione del senatore D'Onofrio, che faceva scandalo del fatto che si fa riferimento anche ad attività non aventi fini di lucro, credo si debba sottolineare che molto spesso si dichiara di non avere fini di lucro mentre poi in concreto le finalità di lucro vengano perseguite con queste attività.

MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE 2007 seduta pomeridiana

Signor Presidente, su un punto condivido il giudizio del collega Fluttero. Siamo in presenza di una formulazione dell'articolo 13 che non risolve il problema delle comunità montane, ma potremmo dire, con un gioco di parole, che in questo caso la montagna ha partorito il topolino. Tuttavia, il problema esiste e ci conviene probabilmente affrontarlo in questa sede, senza attendere il cosiddetto codice delle autonomie, i cui tempi di discussione e di esame da parte di questo ramo del Parlamento sono certamente destinati a prolungarsi notevolmente.
Con l'emendamento 13.6, interamente sostitutivo dell'articolo 13, propongo la soppressione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali: in poche parole, la soppressionetout court delle comunità montane e non una soppressione a spizzichi, come quella prevista dall'articolo 13 proposto dal Governo.
Vorrei dare ragione di questa scelta: quando furono istituite le comunità montane, nel 1971, erano tempi di ristrettissime deleghe alle Province ed era anche una fase storica il cui il problema dell'abolizione delle Province era all'ordine del giorno. Negli anni successivi si è attuata una modifica nell'equilibrio delle competenze dei poteri locali: alle Province sono stati affidati compiti in materia di difesa del suolo, deforestazione, parchi, riserve naturali con funzioni che riassorbono quelle assegnate alle comunità montane. La sopravvivenza delle comunità montane, quindi, se non abbiamo il coraggio di affrontare il tema della revisione costituzionale e dell'abolizione delle Provincia, non ha più significato. È un costo aggiuntivo e una complicazione del nostro sistema di autonomie locali.
Vorrei portare all'attenzione dei colleghi alcuni dati a sostegno della mia richiesta di sopprimere gli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali. Oggi siamo in presenza di 356 comunità montane, la cui superficie è di 16 milioni di ettari, a fronte di superfici montane del Paese di soli 10 milioni di ettari.
Le comunità montane hanno spese correnti per 852 milioni e 131.000 euro a fronte di spese dichiarate in conto capitale di 1 miliardo e 167 milioni di euro. Ma 111 milioni e 615 euro, indicati come spese in conto capitale, sono destinati all'amministrazione generale, alla gestione e al controllo. Se poi guardiamo alle tabelle relative alle spese per investimenti divise per interventi si accerta che per l'acquisizione di beni immobili sono stati spesi 353 milioni e 665.000 euro su un totale di 862 milioni e 246.000 euro. Quindi, non siamo in presenza di spese di investimento ma di rilevanti spese per acquisizione di immobili o spese correnti.
Se pensiamo che hanno 7.500 dipendenti, il 15 per cento di quelli delle Province, e che le spese per gli emolumenti dei presidenti delle comunità montane ammontano a 13 milioni e 680.000 euro, mentre non abbiamo i dati per i gettoni dei consiglieri, ci rendiamo conto come questo rappresenti un costo della politica reale che non risponde più a funzioni che debbono essere svolte, potendo essere espletate benissimo dai singoli Comuni, dall'Unione dei Comuni o dalle Province.
Quindi, la richiesta di soppressione delle comunità montane sostituendo all'articolo 13 del testo del Governo la proposta di abolizione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali mi sembra meritevole del consenso dell'Aula.

VENERDI' 9 NOVEMBRE 2007 seduta antimeridiana

Signor Presidente, come avevo già accennato nel corso della seduta antimeridiana, questo è un emendamento aggiuntivo e non sostitutivo del comma 1 dell'articolo 14. Se lei intende metterlo in votazione adesso, procederei con la dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Riguardando il comma 1, è stato inserito qui.

DEL PENNINO (DCA-PRI-MPA). Signor Presidente, vorrei allora richiamare l'attenzione dei colleghi, in particolare dei senatori Salvi e Villone, su questo emendamento che propone di limitare i consigli di circoscrizione ai Comuni con più di 300.000 abitanti. Stante la legislazione vigente, siamo in presenza di una situazione in cui i Comuni con più di 30.000 abitanti possono istituire consigli di circoscrizione ed infatti abbiamo 790 consigli di circoscrizione, con 12.541 consiglieri, e dei casi clamorosi.
Cito alcuni di questi casi clamorosi: Novara, con 100.000 abitanti, 13 circoscrizioni e 249 consiglieri (1 ogni 400 abitanti); Guidonia, con 68.000 abitanti, 9 circoscrizioni e 144 consiglieri (1 ogni 450 abitanti); Gorizia, con 35.000 abitanti, 10 circoscrizioni, 132 consiglieri (1 ogni 260 abitanti). Se non rappresenta uno spreco ed un costo inutile della politica questo fatto, non so quali altri possono essere individuati.
Ecco perché propongo di modificare l'articolo del testo unico degli enti locali relativo ai consigli di circoscrizione e di limitarne la possibilità di istituzione solo nei Comuni con più di 300.000 abitanti. D'altro canto questo corrisponde pure alla logica in cui furono istituiti i consigli di circoscrizione, che rispondevano all'esigenza di articolare forme di decentramento nei grandi Comuni, nelle aree metropolitane, nei Comuni capoluogo di Regione; poi abbiamo esteso tale possibilità in modo indiscriminato con i risultati che ho poc'anzi ricordato.
Ecco perché insisto per l'approvazione di questo emendamento, che certamente può rappresentare un contributo non marginale alla riduzione dei costi della politica. (Applausi dal Gruppo UDC e del senatore Firrarello).
PRESIDENTE. Metto ai voti, mediante procedimento elettronico senza registrazione dei nomi, l'emendamento 14.5, presentato dal senatore Del Pennino.
Dichiaro aperta la votazione.
VENERDI' 9 NOVEMBRE 2007 seduta pomeridiana

Intervengo anch'io, signor Presidente, per chiedere di aggiungere la firma all'emendamento 30.0.13 del collega Castelli e per fare presente che qui ci troviamo di fronte ad una proposta che è davvero tale da non poter essere rifiutata da qualunque persona di buon senso. Qui si prevede di sviluppare delle ricerche per la terza e quarta generazione di energia nucleare: quelle medesime ricerche che gli stessi ministri D'Alema e Bersani, negli scorsi giorni, hanno dichiarato essere probabilmente necessarie al nostro Paese. Respingere questo emendamento significherebbe una affermazione per partito preso, comporterebbe non fare una scelta a favore di altre energie contro il nucleare, ma fare una scelta contro la libertà di ricerca, ponendo un veto nei confronti di qualunque studio sulla possibilità di utilizzare una energia che in tutto il mondo, ormai, viene vista come quella necessaria.
LUNEDI' 12 NOVEMBRE 2007

Signor Presidente, innanzitutto intendo aggiungere la mia firma e quella del collega Saro sull'ordine del giorno G.84.100. Inoltre, vorrei esprimere una brevissima considerazione.
L'ordine del giorno G.84.100 impegna il Governo ad assumere le iniziative necessarie volte a modificare i criteri di ripartizione del gettito dell'8 per mille dell'IRPEF. È chiaro che se questa proposta interviene su materie oggetto del Concordato sarà necessario assumere un'iniziativa nei confronti della Santa Sede per individuare una ridefinizione dei termini della questione.
Ma vi è un aspetto che può essere modificato, non vincolato dal Concordato, rappresentato dal fatto che oggi la ripartizione non avviene sull'ammontare quantitativo delle singole indicazioni, ma sul numero delle stesse, indipendentemente dal loro ammontare, per cui sono messi sullo stesso piano dichiarazioni di chi ha redditi altissimi e di chi ha redditi minimi, portando ad uno squilibrio nell'attribuzione della quota dell'8 per mille. Queste sono le ragioni che mi inducono a sostenere questo emendamento.

MARTEDI' 13 NOVEMBRE 2007


giovedì 15 novembre 2007

INTERVENTO SULLA FINANZIARIA

di Antonio Del Pennino

Intervengo anch'io, signor Presidente, per chiedere di aggiungere la firma all'emendamento 30.0.13 del collega Castelli e per fare presente che qui ci troviamo di fronte ad una proposta che è davvero tale da non poter essere rifiutata da qualunque persona di buon senso. Qui si prevede di sviluppare delle ricerche per la terza e quarta generazione di energia nucleare: quelle medesime ricerche che gli stessi ministri D'Alema e Bersani, negli scorsi giorni, hanno dichiarato essere probabilmente necessarie al nostro Paese. Respingere questo emendamento significherebbe una affermazione per partito preso, comporterebbe non fare una scelta a favore di altre energie contro il nucleare, ma fare una scelta contro la libertà di ricerca, ponendo un veto nei confronti di qualunque studio sulla possibilità di utilizzare una energia che in tutto il mondo, ormai, viene vista come quella necessaria.
Roma 12 Novembre 2007

INTERVENTO SULLA FINANZIARIA

di Antonio Del Pennino


Signor Presidente, su un punto condivido il giudizio del collega Fluttero. Siamo in presenza di una formulazione dell'articolo 13 che non risolve il problema delle comunità montane, ma potremmo dire, con un gioco di parole, che in questo caso la montagna ha partorito il topolino. Tuttavia, il problema esiste e ci conviene probabilmente affrontarlo in questa sede, senza attendere il cosiddetto codice delle autonomie, i cui tempi di discussione e di esame da parte di questo ramo del Parlamento sono certamente destinati a prolungarsi notevolmente.
Con l'emendamento 13.6, interamente sostitutivo dell'articolo 13, propongo la soppressione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali: in poche parole, la soppressione tout court delle comunità montane e non una soppressione a spizzichi, come quella prevista dall'articolo 13 proposto dal Governo.
Vorrei dare ragione di questa scelta: quando furono istituite le comunità montane, nel 1971, erano tempi di ristrettissime deleghe alle Province ed era anche una fase storica il cui il problema dell'abolizione delle Province era all'ordine del giorno. Negli anni successivi si è attuata una modifica nell'equilibrio delle competenze dei poteri locali: alle Province sono stati affidati compiti in materia di difesa del suolo, deforestazione, parchi, riserve naturali con funzioni che riassorbono quelle assegnate alle comunità montane. La sopravvivenza delle comunità montane, quindi, se non abbiamo il coraggio di affrontare il tema della revisione costituzionale e dell'abolizione delle Provincia, non ha più significato. È un costo aggiuntivo e una complicazione del nostro sistema di autonomie locali.
Vorrei portare all'attenzione dei colleghi alcuni dati a sostegno della mia richiesta di sopprimere gli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali. Oggi siamo in presenza di 356 comunità montane, la cui superficie è di 16 milioni di ettari, a fronte di superfici montane del Paese di soli 10 milioni di ettari.
Le comunità montane hanno spese correnti per 852 milioni e 131.000 euro a fronte di spese dichiarate in conto capitale di 1 miliardo e 167 milioni di euro. Ma 111 milioni e 615 euro, indicati come spese in conto capitale, sono destinati all'amministrazione generale, alla gestione e al controllo. Se poi guardiamo alle tabelle relative alle spese per investimenti divise per interventi si accerta che per l'acquisizione di beni immobili sono stati spesi 353 milioni e 665.000 euro su un totale di 862 milioni e 246.000 euro. Quindi, non siamo in presenza di spese di investimento ma di rilevanti spese per acquisizione di immobili o spese correnti.
Se pensiamo che hanno 7.500 dipendenti, il 15 per cento di quelli delle Province, e che le spese per gli emolumenti dei presidenti delle comunità montane ammontano a 13 milioni e 680.000 euro, mentre non abbiamo i dati per i gettoni dei consiglieri, ci rendiamo conto come questo rappresenti un costo della politica reale che non risponde più a funzioni che debbono essere svolte, potendo essere espletate benissimo dai singoli Comuni, dall'Unione dei Comuni o dalle Province.
Quindi, la richiesta di soppressione delle comunità montane sostituendo all'articolo 13 del testo del Governo la proposta di abolizione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali mi sembra meritevole del consenso dell'Aula.
La riforma delle comunità montane va stralciata e quindi l'articolo 13 va trasferito tout court in una legge organica che a breve potrebbe essere discussa in quest'Aula. Esistono due possibilità. La prima è quella di inserire l'articolo 13 nella legge, già depositata, di riforma della legge n. 97 del 1994 sulla montagna. La seconda è quella di un incardinare detto articolo nella legge sui piccoli Comuni, che già è prevista in calendario al Senato. In quelle sedi un tema così delicato come quello
VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2007 seduta antimeridiana

DEL PENNINO (DCA-PRI-MPA). Signor Presidente, come avevo già accennato nel corso della seduta antimeridiana, questo è un emendamento aggiuntivo e non sostitutivo del comma 1 dell'articolo 14. Se lei intende metterlo in votazione adesso, procederei con la dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Riguardando il comma 1, è stato inserito qui.

DEL PENNINO (DCA-PRI-MPA). Signor Presidente, vorrei allora richiamare l'attenzione dei colleghi, in particolare dei senatori Salvi e Villone, su questo emendamento che propone di limitare i consigli di circoscrizione ai Comuni con più di 300.000 abitanti. Stante la legislazione vigente, siamo in presenza di una situazione in cui i Comuni con più di 30.000 abitanti possono istituire consigli di circoscrizione ed infatti abbiamo 790 consigli di circoscrizione, con 12.541 consiglieri, e dei casi clamorosi.
Cito alcuni di questi casi clamorosi: Novara, con 100.000 abitanti, 13 circoscrizioni e 249 consiglieri (1 ogni 400 abitanti); Guidonia, con 68.000 abitanti, 9 circoscrizioni e 144 consiglieri (1 ogni 450 abitanti); Gorizia, con 35.000 abitanti, 10 circoscrizioni, 132 consiglieri (1 ogni 260 abitanti). Se non rappresenta uno spreco ed un costo inutile della politica questo fatto, non so quali altri possono essere individuati.
Ecco perché propongo di modificare l'articolo del testo unico degli enti locali relativo ai consigli di circoscrizione e di limitarne la possibilità di istituzione solo nei Comuni con più di 300.000 abitanti. D'altro canto questo corrisponde pure alla logica in cui furono istituiti i consigli di circoscrizione, che rispondevano all'esigenza di articolare forme di decentramento nei grandi Comuni, nelle aree metropolitane, nei Comuni capoluogo di Regione; poi abbiamo esteso tale possibilità in modo indiscriminato con i risultati che ho poc'anzi ricordato.
Ecco perché insisto per l'approvazione di questo emendamento, che certamente può rappresentare un contributo non marginale alla riduzione dei costi della politica. (Applausi dal Gruppo UDC e del senatore Firrarello).
VENERDI' 9 NOVEMBRE 2007 seduta pomeridiana

venerdì 9 novembre 2007

CONTRO L'ABUSO DEL "TASSA E SPENDI"

L'emendamento dei repubblicani alla legge finanziaria per l'anno 2008


Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008). Emendamento presentato dal Pri.
di Antonio Del Pennino

Signor Presidente, l'emendamento 1.2 si colloca nella logica di quanto ho avuto modo di affermare ieri in sede di discussione generale, quella cioè di cercare di rovesciare la tendenza che ci sembra propria di questo Governo del tassa e spendi, fissando, quindi, un paletto preciso rispetto alla ipotesi che si verifichino entrate maggiori di quelle che sono state preventivate dal Governo, affinché queste non vengano disperse in mille rivoli, in mance e in spese minori ma vengano invece utilizzate per ridurre innanzitutto il deficit e successivamente la pressione fiscale.
Abbiamo preso per buona la cifra indicata dal Governo nell'allegato 8 alla finanziaria che aveva presentato, cioè 426.708 milioni al netto delle regolazioni contabili e debitorie; cifra che troviamo poi confermata anche nelle tabelle allegate al testo licenziato dalla Commissione.
Conseguentemente, partendo da questo dato, affermiamo che le maggiori entrate tributarie che si realizzassero nello stesso esercizio vanno prioritariamente destinate a realizzare gli obiettivi di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e sui saldi di finanza pubblica definiti dal DPEF (ed in questo non modifichiamo la previsione contenuta nel testo della Commissione). In caso in cui le maggiori entrate siano eccedenti rispetto a tali obiettivi prevediamo invece una destinazione diversa da quella decisa dalla Commissione e cioè che debba essere istituito un apposito fondo, denominato fondo per il giusto indennizzo fiscale, da destinare, con successivi provvedimenti, esclusivamente al taglio lineare dell'IRPEF e dell'IRES, non ad una riduzione selezionata come quella che prevede la Commissione.
Questo ci sembra rispondere ad una logica, secondo noi, fondamentale, quella di indicare una volontà precisa da parte del Parlamento di ridurre la pressione fiscale qualora dovessero giungere ulteriori entrate, dopo che queste sono state destinate alla riduzione del disavanzo, e porre, ripeto, un paletto al tentativo di spendere questi quattrini in modo indiscriminato. Questa è la logica del mio emendamento che raccomando al voto dell'Assemblea.

MANOVRA INCAPACE DI DARE UN INDIRIZZO AI PROBLEMI DEL PAESE

Intervento in Senato del 6 novembre 2007.
di Antonio Del Pennino


Signor Presidente, Onorevole rappresentante del Governo, Colleghi senatori, nell'accingermi a esprimere il giudizio dei repubblicani sulla legge finanziaria per il 2008 non posso non partire dalla constatazione che un coro di critiche ha accompagnato il varo di questo provvedimento, senza distinzione tra economisti amici ed analisti prevenuti.
Contro l'impostazione della manovra hanno, infatti, parlato uomini come Mario Monti, Tito Boeri, Fabrizio Galimberti, Francesco Gavazzi e Guido Tabelloni: solo per citarne alcuni.
Carenza di respiro programmatico, sottovalutazione dei gravi problemi strutturali dell'economia, mancanza di coraggio nell'affrontare gli squilibri finanziari più profondi caratterizzano, in realtà, il provvedimento al nostro esame.
Voglio citare solo un dato.
Il grafico allegato alla relazione tecnica del disegno di legge per l'attuazione del protocollo sul welfare mostra che la spesa pensionistica crescerà, nei prossimi 13 anni, di 0,1 punti di PIL ogni anno. Alla fine del periodo sarà quindi cresciuta di oltre 1 punto di PIL.
Era necessario? Nel 2006, secondo le valutazioni dell'ISTAT, la spesa previdenziale è stata pari al 43 per cento della spesa corrente, al netto dei trasferimenti e degli interessi. Era proprio indispensabile ridurre ulteriormente una vita lavorativa, già troppo breve, rispetto agli standard internazionali?
Se a questo dato sommiamo il peso della finanza decentrata, pari al 32,1 per cento, alle amministrazioni centrali non resta che il 24,9 per cento del totale.
Con queste somme dovremmo fare tutto, dalla sicurezza, alla ricerca scientifica, agli investimenti in infrastrutture. Pari negli ultimi anni ad appena 1 punto di PIL.
La cosa che più sorprende è che di questi problemi non c'è consapevolezza.
Una finanziaria inadeguata, quindi.
Inadeguata di fronte ai problemi. Incapace di tracciare una rotta che orienti le grandi scelte collettive verso traguardi in grado di mettere a riparo l'Italia da una crisi – quella internazionale – di cui è, ancora oggi, difficile valutare la portata e le possibili conseguenze.
Scarso coraggio, in definitiva, e poca lungimiranza. Conseguenze inevitabili di una maggioranza divisa su tutto. Immaginiamoci su quelle scelte di fondo che presuppongono un cemento culturale comune ed un sistema di valori condiviso.
Gli italiani non si meritano questa finanziaria.
Ci fossimo trovati di fronte ad un'irresponsabilità diffusa o al rifiuto di misurasi con le difficoltà del Paese, l'avremmo capito. Davanti a fenomeni di rigetto sarebbe stato giustificato anche un atteggiamento rinunciatario.
Ma oggi è questa la situazione? Vi sono forse stati fenomeni di apatia, di indifferenza, di non condivisione nello sforzo per superare la crisi?
Guardiamo ai dati. Il 6 dicembre dello scorso anno, ad un passo dall'approvazione della legge finanziaria, il Vice Ministro Visco presentò, qui in Senato, le sue previsioni di entrate. Le calcolò in 33,858 miliardi. Solo poche mesi dopo l'ISTAT indicò invece una cifra pari a 46,273 miliardi. Con una differenza pari a 12,414 miliardi. Forse, se le previsioni fossero state più accurate, fin da allora, si poteva scrivere una finanziaria diversa ed evitare uno shock depressivo all'economia italiana. A consuntivo si può dire che il primo "tesoretto" è stato pari a circa 1,2 punti di PIL. Tant'è che il deficit, previsto dalla nota di aggiornamento del DPEF nel 3,6 per cento, al netto delle spese una tantum, si è ridotto al 2,4 per cento. Nel frattempo, tuttavia, la pressione fiscale era aumentata di 1,7 punti e le spese di 1,9.
Nel 2007 abbiamo assistito alla stessa sceneggiata. Di nuovo le previsioni di entrata sono state sottostimate. Di nuovo il miracolo di un "tesoretto" che nasce come Venere dalla spuma del bilancio. Il totale delle maggiori entrate, accertate in due distinte tranche, è stato pari ad oltre 14,5 miliardi di euro. Ve ne sarà un terzo? Che spunterà durante la discussione in aula a Montecitorio, pronto per essere speso su richiesta della sinistra antagonista?
Non ne conosciamo l'importo esatto, ma è credibile che l'ordine di grandezza superi i 3 o 4 miliardi di euro.
E sarà un nuovo episodio della saga del "tassa e spendi".
Tutto questo non è serio. Perché delle due l'una. O vi è incapacità assoluta nel maneggiare le cifre. O non si forniscono le cifre esatte al Parlamento e a un'opinione pubblica che assiste sconcertata al susseguirsi delle docce scozzesi. Per cui in un momento siamo al 1992. Il giorno dopo i conti pubblici sono risanati, grazie all'indefessa azione del Governo.
Mi auguro che, nella sua replica, il Ministro dell'economia possa mettere fine a questo balletto ed assumersi le sue responsabilità.
Se i grandi sacrifici degli italiani, che hanno pagato senza battere ciglio più di quanto era stato loro richiesto, fossero stati premiati, oggi il deficit sarebbe stato pari all'1,4 per cento. Nel 2008 sarebbe inferiore all'1 per cento. Ad un passo dalla più virtuosa Germania.
Queste risorse, invece, sono state sprecate in una politica senza costrutto: fatta di piccole mance e di interventi a pioggia che non hanno recato vantaggio alcuno. Non hanno dato reale sollievo alle zone di disagio sociale. Non hanno rimesso in moto il processo di sviluppo, visto che l'Italia è all'ultimo posto della classifica europea. Non hanno alimentato quel processo di riforme che è indispensabile per superare lo stato di incertezza profonda in cui versa il paese.
Diciamo la verità. Quella che manca è l'indicazione di una rotta. Per cui gli interventi si sommano e si contraddicono in un gioco a saldo zero. Anzi negativo, visto la regressione in atto nei tratti di fondo dell'economia nazionale. Ma se manca la rotta, le responsabilità prime sono del Presidente del consiglio che per sopravvivere è costretto ad una continua, quanto paralizzante, opera di inconcludente mediazione.
Negli scorsi mesi, il Partito Repubblicano aveva indirizzato una lettera aperta al Ministro dell'economia. Gli avevamo offerto tutto il nostro appoggio, in una linea di rigore al servizio dei grandi interessi nazionali. Rinnoviamo la nostra disponibilità. Ma che Padoa Schioppa faccia sul serio il ministro dell'economia. Si faccia forza del suo "sapere tecnico". Da economista, qual è, ricorra al linguaggio dei numeri.
Non replichi con battute, che producono effetti controproducenti. E sappia dire di no.
I grandi ministri del Tesoro della storia italiana hanno sempre parlato poco ed operato con mano ferma. Anche quando le condizioni politiche avrebbero chiesto di largheggiare. Padoa Schioppa proviene dal vivaio della Banca d'Italia. Non dovrei essere io a ricordargli l'insegnamento di Guido Carli. Quando Antonio Giolitti, allora ministro del bilancio, inseguiva il sogno della programmazione, il Governatore della Banca d'Italia realizzava – era il 1964 – la prima stretta creditizia del dopoguerra. Perché chi ha la responsabilità delle finanze pubbliche ha una missione da compiere e non può sottostare alle contrastanti pressioni settoriali.
Non prometta, quindi, il Ministro cose che non può mantenere, come l'ipotetico taglio di spese per un importo pari a 21 miliardi di euro, come indicato nell'ultimo DPEF.
Il paese ha bisogno del linguaggio duro e amaro della verità.
Forse usarlo contribuirebbe a far saltare gli equilibri di questa composita maggioranza.
Ma è meglio che saltino questi equilibri piuttosto che non le prospettive di sviluppo italiane.

mercoledì 31 ottobre 2007

Dichiarazione di voto del Senatore Antonio Del Pennino sull'emendamento al decreto finanziario relativo ai servizi idrici


Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'emendamento 26.0.4./1 non rappresenta un intervento tecnico, né una misura di carattere economico che si colloca nel quadro della manovra finanziaria; esso pone, invece, un grave problema politico.
Lo ha detto con chiarezza il relatore: questo emendamento è il frutto dello stralcio di una norma dal provvedimento sulle liberalizzazioni presentato dal ministro Bersani. In quel provvedimento, la logica era di allargare lo spazio dell'intervento dei privati, di creare condizioni di concorrenza, di introdurre un sistema di liberalizzazioni nel nostro ordinamento economico. Tuttavia, vi era una norma che si collocava in controtendenza rispetto alla logica di quel provvedimento, una norma che era di chiusura rispetto ad un'ipotesi di concorrenza e di liberalizzazione, ed era quella relativa ai servizi idrici. Si trattava di una norma che era stata imposta, dopo un duro confronto all'interno dell'attuale maggioranza tra la componente riformista e la componente antagonista, dalla componente antagonista, che ne aveva fatto la condizione per dare il via libera anche al disegno di legge del ministro Lanzillotta sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali.
Oggi ci troviamo in una situazione in cui il disegno di legge sulla liberalizzazione dei servizi pubblici degli enti locali è fermo (ne abbiamo iniziato l'esame con le relazioni e poi si è bloccata la discussione in Senato); è fermo il disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni; invece, va avanti con ritmi serrati, con tempi rapidi, l'unica norma che rappresenta una chiusura pubblicistica e anticoncorrenziale che era nel provvedimento Bersani.
Questo è il senso politico di quello che stiamo discutendo oggi; un senso politico che mi porta a dire agli amici di Rifondazione Comunista e della sinistra antagonista: avete vinto, rispetto alle componenti moderate e riformatrici della vostra maggioranza; avete avuto un successo, ma questo successo politico non risponde a quelle che sono le esigenze del Paese, perché la condizione del nostro sistema idrico è ben nota.
Mi avvio a concludere, signor Presidente. Abbiamo il 42 per cento dell'acqua che viene dispersa dopo l'inserimento negli acquedotti.
Questo avviene perché abbiamo un sistema idrico che è un colabrodo e rispetto al quale l'intervento pubblico non è stato capace di modificare la condizione esistente.
Esaltando con questo emendamento la priorità, anzi l'esclusività dell'intervento pubblico, facciamo un'affermazione ideologica: diamo un contributo alla vittoria della sinistra antagonista, ma non realizziamo nulla che possa servire al Paese. (Applausi dai Gruppi DCA-PRI-MPA e FI).
Roma, 25 ottobre 2007

domenica 21 ottobre 2007

L'edera in piazza a Pavia


L'edera ritorna in piazza a Pavia.
Sabato 20 ottobre i Repubblicani del PRI hanno installato in piazza della Vittoria a Pavia una postazione.
Sono stati distribuiti volantini con il programma dell'incontro organizzato a Milano da La Voce Repubblicana per il 26-28 ottobre e altri volantini con il "PRI-pensiero".
Interesse e qualche stupore tra i passanti. Alcuni mostravano un certo timore, fosse pensavano fossimo degli "zombie". E invece siamo vivi!

giovedì 4 ottobre 2007

INTERVENTO SU VISCO

di Antonio Del Pennino

Il nuovo dibattito sul cosiddetto caso Visco si apre in un contesto ulteriormente aggravato rispetto a quando lo affrontammo nel giugno scorso .
Aggravato dalle motivazioni addotte dallaProcura di Roma nel richiedere 'archiviazione per l'ipotesi di reato di abuso di ufficio e di minacce.
lCome noto, pur riconoscendo l'inesistenza dell'ipotesi di reato la Procura difatti ha considerato illegittima la condotta del Vice Ministro, perché tenuta " in violazione di specifiche norme che non gli conferiscono il potere di disporre o di ordinare il trasferimento di ufficiali del corpo, norme di cui aveva consapevolezza" .
Infatti , prosegue la Procura " e' pacifico che il Vice Ministro Visco abbia tentato di ottenere il trasferimento di 4 ufficiali cercando di imporre al Comandante Generale di provvedere in tal senso, esercitando indebite pressioni, "mentre egli "non aveva potere, poiché il potere decisionale in materia è attribuito da una norma primaria al Comandante Generale."
Inoltre il documento della Procura ricordo che nell'interrogatorio del 24 giugno Visco ha parlato , a proposito dei quattro ufficiali, "del loro rapporto molto stretto con i vertici della Guardia di Finanza e, presumibilmente con la precedente gestione governativa....... Dichiarazione che sicuramente confligge con i principi che nel nostro ordinamento regolano il rapporto tra autorità politica e autorità amministrativa."
E qui veniamo al punto: quello del rispetto dell'articolo 97 della Costituzione e del rapporto fra il potere politico e le strutture burocratiche o le forze armate.
Siamo convinti che dovere del potere politico sia quello di non interferire con i compiti delle strutture amministrative, rispetto alle quali il politico deve limitarsi a dare direttive generali.
Se si supera questo confine si creano inevitabilmente conflitti tra organi dello Stato . E questo confine , il Ministro Visco ha superato ampiamente.
Non vi è in queste considerazioni alcun pregiudizio aprioristico . Vi è solo la constatazione di una situazione che si è determinata che ha aperto una gravissima frattura istituzionale.
Per questo nell'ordine del giorno che ho presentato sottolineo la necessità , al di là di quelli che saranno gli sviluppi giudiziari e le decisioni del GIP, di affidare definitivamente le responsabilità di indirizzo politico sulla guardia di finanza al Ministro dell'Economia e delle Finanze.
Non è più sufficiente il solo congelamento delle deleghe del Vice Ministro. Occorre un provvedimento inequivocabile che serva a superare lo stato di malessere che si è determinato nei rapporti fra il governo e un corpo essenziale dell'Amministrazione dello Stato.
Credo che il governo darebbe un segnale importante seguendo la via che ho indicato, un segnale che contribuirebbe ad aumentarne la credibilità .
Ma forse questo solo non basterebbe, come indico con l'altra proposta contenuta nel mio ordine del giorno .
Se vuole acquisire un'autorevolezza che oggi ha perduto il Presidente del Consiglio dovrebbe prendere spunto da questo episodio per procedere prontamente a un riassetto organizzativo che conduca alla limitazione del numero dei Ministri e dei Sottosegretari, in linea con la legislazione vigente all'atto del suo insediamento, legislazione che è stata aggirata con il cosiddetto spacchettamento.
Sarebbe oltretutto una risposta forte rispetto alle spinte dell'antipolitica che si stanno ormai sempre più diffondendo .
Una risposta che confido il parlamento possa dare con un voto sul mio ordine del giorno , che mi auguro vada al di là dei tradizionali confini tra maggioranza e opposizione .
Roma, 3 ottobre 2007



LE PROSTE DELLA LEGA INDEBOLISCONO LA MAGGIORANZA

di Franco De Angelis

“Trovo la lettura della rassegna stampa di oggi un po’ inquietante. Le incertezze e le fughe in avanti che stanno caratterizzando il dibattito sul ticket antismog non vengono sicuramente incontro alle aspettative dei milanesi”. Così afferma il repubblicano Franco De Angelis, presidente del Gruppo Misto a Palazzo Marino, esperto di trasporti e pianificazione urbana. “I cittadini - prosegue De Angelis - sono coscienti del fatto che la qualità dell’aria e il traffico stanno raggiungendo livelli di guardia. Chiedono iniziative concrete, e risposte dalle istituzioni”. Ma è soprattutto la proposta di effettuare una nuova consultazione sulla chiusura del centro, avanzata dalla Lega Nord, a preoccupare De Angelis. “Francamente - spiega De Angelis - mi sembra che uscite del genere possano nascere solo dall’ansia di ottenere titoli clamorosi sui media. Perché non un referendum anche sulle targhe alterne, allora? Nel merito, si tratta di un’idea velleitaria, oltre che di un sensibile passo indietro rispetto a quanto è stato fatto in questi anni. Non risolve nulla. E può solo ottenere l’effetto di indebolire la maggioranza”.
Milano, 2 ottobre 2007

venerdì 28 settembre 2007

DEL PENNINO:URGENTE MODIFICARE LA LEGGE 40 SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA


Il senatore Del Pennino ha replicato a Monsignor Betori: "Con tutto il rispetto per monsignor Betori vorrei preliminarmente osservare che la Corte costituzionale non si era mai pronunciata sulla legittimità costituzionale della norma contenuta nella legge 40 che vieta la ricerca clinica sugli embrioni, ma si era limitata a dichiarare inammissibile il ricorso per motivi procedurali. Conseguentemente il tribunale di Cagliari non poteva essere vincolato da una pronuncia del giudice delle leggi. Essendo stato affermato dalle linee guida che la donna non può essere costretta ad un impianto coatto, è evidente che non si può imporre il trasferimento in utero dell'embrione malato. Oltretutto per la diversa previsione esistente qualora si procedesse all'impianto dell'embrione malato sarebbe sempre possibile il ricorso all'aborto. Ciò evidenzia l'assurdità di questa norma contenuta nella legge 40 al pari di molte altre previsioni della stessa legge e rende urgente un intervento correttivo del Parlamento. Voglio in proposito ricordare che da oltre sei mesi ho depositato in Senato un disegno di legge di modifica della legge 40 con altri sei colleghi della Cdl e si rende quindi urgente un esame dello stesso insieme ad analoghi provvedimenti proposti da altre parti politiche. In questo senso chiederò al presidente Marino di porre al più presto all'ordine del giorno della Commissione i disegni di legge di revisione della 40".

PERCHE' VA VERSO IL NAUFRAGIO LA RIFORMA DEL MINISTRO LANZILLOTTA

La crisi dei servizi pubblici

di Antonio Del Pennino


La prossima settimana l'aula del Senato affronterà il disegno di legge presentato dal Ministro Lanzillotta sul riordino dei servizi pubblici locali. Avevamo salutato favorevolmente l'iniziativa del Ministro in quanto ci sembrava introdurre criteri di liberalizzazione e di sviluppo della concorrenza, in settori in cui il regime di monopolio pubblico ha causato inefficienze, sprechi ed alte tariffe.
Le modifiche introdotte in Commissione al Senato, su richiesta dell'ala "antagonista" dell'attuale maggioranza (ma in proposito va rilevato anche il carattere antiliberalizzazioni degli emendamenti proposti dalla Lega) hanno però snaturato il testo, ponendo sostanzialmente sullo stesso piano la scelta del gestore dei servizi locali mediante procedure competitive ad evidenza pubblica e la possibilità di gestione diretta da parte degli enti locali
Rinunciando a una scelta e rinviando la decisione agli amministratori locali, non si compie un atto di rispetto della loro autonomia, dato che la Costituzione affida alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia della tutela della concorrenza. Si scarica piuttosto su di loro la responsabilità di decisioni che saranno inevitabilmente influenzate da preoccupazioni di potere e da pressioni clientelari.
Il testo della Commissione vanifica la logica originaria del disegno di legge, riaprendo la strada alla gestione "affidata" a società emanazioni del potere politico sia pubbliche, sia miste, senza passare da alcuna gara.
Nel caso delle società miste, poi, la norma che prevede l'affidamento diretto va contro il diritto comunitario e le pronunce della Corte di Giustizia, che hanno precisato che la presenza di un socio privato esclude che il servizio possa essere affidato senza procedure competitive.
In realtà la gara per la scelta del socio per la società mista alla quale poi affidare il servizio rischia di essere una finzione e di aprire la strada a pericolose commistioni tra interessi pubblici e privati. Con la conseguenza di confondere il ruolo dell'ente locale, socio del privato nella produzione del servizio, con quello di controllore dello stesso.
Un'altra considerazione merita la previsione che nei bandi di gara vengano inserite clausole di preferenza in favore delle imprese che assicurino il mantenimento dei livelli occupazionali preesistenti.
Questa previsione introduce un vincolo destinato a pesare negativamente sulla produttività delle imprese e a scoraggiare la partecipazione alle gare dei soggetti più attenti alle esigenze di una gestione economica.
La previsione è altresì destinata ad aggravare il carattere duale dell'economia del nostro Paese.
E' noto infatti che i maggiori esuberi di personale e la minore produttività caratterizzano le aziende del Mezzogiorno rispetto a quelle del Nord. Ora il vincolo di mantenere i livelli occupazionali preesistenti renderà meno appetibili al mercato le aziende meridionali, che saranno quindi destinate a continuare la loro attività come aziende speciali o società a partecipazione interamente pubblica, con conseguente minore possibilità di sviluppo rispetto alle aziende del Nord che potranno essere più interessanti nelle procedure competitive ad evidenza pubblica e conoscere conseguentemente processi innovativi.
A queste considerazioni, vanno aggiunte quelle relative ai limiti che già incontrava l'originale disegno di legge che escludeva dal ricorso alle procedure competitive la gestione dei servizi idrici.
Sul punto si è fatto volutamente confusione ipotizzando che una scelta diversa avrebbe comportato anche la proprietà privata delle risorse idriche.
E' un equivoco che va dissipato.
Una cosa è la proprietà delle risorse idriche, che sono e devono rimanere patrimonio pubblico, altro è il problema della loro gestione.
Secondo quanto rilevato dall'Autorità di Vigilanza sulle risorse idriche, rispetto a quella immessa nella rete, il 42% dell'acqua va oggi perduto per colpa dell'inefficienza degli acquedotti italiani e delle loro tubature obsolete.
Difendere gli attuali sistemi di gestione pubblica è solo demagogia, destinata ad aggravare il problema, anche recentemente emerso, dell'insufficienza delle risorse.
La riforma Lanzillotta, concepita secondo i migliori intenti, sta miseramente naufragando. E ciò, mentre è sempre più chiaro che per migliorare la competitività del nostro sistema economico è necessario ridurre l'intervento pubblico e rivitalizzare le logiche di mercato, proprio partendo dai servizi locali che sono parte rilevante dell'intervento pubblico.
Roma, 26 settembre 2007

lunedì 17 settembre 2007

DEL PENNINO SUL FINANZIAMENTO DEI PARTITI

" Il mio disegno di legge mira a diminuire sensibilmente i rimborsi elettorali a carico dello Stato (da 5 a 1,5 euro per voto ricevuto), incentivando le erogazioni liberali sul modello americano".
Così Antonio Del Pennino, senatore che fa parte del gruppo Dc-Pri-Mpa, ma che rappresenta il Pri, ribatte all'articolo sul finanziamnto pubblico ai partiti pubblicato sul numero 37 di Economy.
" Nell'articolo si afferma che nel disegno di legge che ho presentato ho chiesto che i cittadini destinino l'8 per mille della propria dichiarazione dei redditi. Non si precisa però che questa erogazione è sostitutiva e non aggiuntiva rispetto all'attuale finanziamento. Col sistema da me proposto l'onere per lo Stato (200 milioni di euro) verrebbe sostanzialmente dimezzato".

Economy, 19 settembre 2007

SCHIAFFO AL NORD: I RESPONSABILI NON SONO SOLO A ROMA

L'abbandono di Malpensa/Una mossa pensata in realtà come estremo aiuto per Alitalia
di Alessandro Papini

Alitalia ha scelto di puntare su Fiumicino e abbandonare Malpensa. Nonostante dati e cifre dimostrino l'irrazionalità economica della decisione, nonostante il Nord generi circa due terzi del traffico aereo nazionale, nonostante Malpensa vanti costanti record europei di puntualità (mentre a Roma giacciono ancora migliaia di valige estive), il segreto di Pulcinella – per dirla alla Gabrio Casati del "Riformista" – è stato finalmente svelato: la gloriosa e tracollante compagnia di bandiera nazionale non può sostenere due hub. E, in vista della prossima (s)vendita, invece di seguire logiche e dinamiche di mercato preferisce un'ennesima azione tutelativa a favore dei tutelati di sempre. E' lo specchio - riflesso di un paese (dei governi e delle aziende pubbliche che esprime) bloccato, ipertrofico e ancorato a certezze superate dalla storia, incapace di intervenire in qualsiasi settore della società italiana che presenti rischi di ritorsione corporativa o anche solo impopolarità sociale. Storia già vista e vissuta, sempre a costo sociale zero (cfr. riforma mercato del lavoro, riforma universitaria, riforma delle pensioni, ecc.).
Per carità, l'insostenibilità del doppio hub era risaputa e ben nota da anni a chiunque prestasse un minimo di civica attenzione alle cose della politica italiana e di quel suo misero e precario equilibrio di potere quotidiano che ne caratterizza la "visione strategica" di lungo periodo. Lo si sapeva almeno dal 2000, quando saltò l'accordo con KLM unica compagnia tra le europee che avrebbe potuto avere interesse a sviluppare l'aeroporto varesino. E grazie ad un'inchiesta di "Panorama", venne addirittura messo nero su bianco nel 2006, allorché Maurizio Basile, Amministratore Delegato di ADR (società di gestione di Fiumicino e Ciampino), predispose - per il Governo - un piano di rilancio di Alitalia che prevedeva, guarda caso, il riposizionamento di Alitalia su Fiumicino, "concentrando sullo scalo romano tutti i voli intercontinentali che la compagnia è in grado di operare, individuando al contempo per Malpensa un altro operatore in una logica point to point".
Insomma, un ennesimo schiaffone al Nord, cioè a quella parte del paese che più produce e più paga in termine di "solidarietà nazionale" (qui cominciano a chiamarla "spoliazione nazionale"), che però questa volta trova nelle sue istituzioni rappresentative, soprattutto lombarde, colpevoli mancanze. Già, perché la tardiva e ridicola conferenza stampa del triumvirato milanese Moratti, Penati, Formigoni a poche ore dal CdA Alitalia riflette l'inconsistenza politica di un territorio che si sta in questi giorni giocando, contro Smirne, l'assai rilevante partita dell'Expo 2015, di cui Malpensa è, evidentemente, infrastruttura fondamentale.
E se il fallimento di Malpensa è certamente il fallimento di Regione Lombardia, unica istituzione che in questi anni ha lanciato gridi di allarme ma alla prova dei fatti non ha mai saputo (alcuni sostengono voluto - per timore di perdere quote d'influenza) mettere il naso nella gestione di Linate, Orio al Serio e Montichiari, tuttavia primo imputato per la vicenda non può che essere il Comune di Milano, azionista di maggioranza di SEA (società di gestione degli aeroporti di Malpensa e Linate) e attraverso questa al 49,98% SACBO, società di gestione dell'aeroporto di Orio al Serio. Un silenzio spaventoso, quello dell'istituzione milanese e dei suoi sindaci (Albertini prima e Moratti poi), rotto solo dalla frettolosa conferenza stampa di settimana scorsa. Nonostante le grida e le minacce del triumvirato lombardo, le redditizie tratte del Milano-Roma non potranno essere toccate. E il destino di Malpensa (salvo miracoli dell'ultim'ora) è segnato e punta dritto ad un rapido ridimensionamento. Qualcuno sostiene – a destra e a sinistra - che non esista una questione settentrionale. Ne riparleremo quando i cittadini lombardi, tra qualche mese, per viaggiare con Alitalia dovranno passare per Roma e poi ripercorrere la stessa tratta al contrario verso le destinazioni dell'estremo oriente o del nord america. Allora forse il finto sciopero fiscale leghista si trasformerà in qualcosa di più concreto. La corda pare già, infatti, molto tesa. E sarebbe bene che a Roma (ma anche a Milano) qualcuno cominci a rendersene conto, poiché in gioco non ci sono noccioline, ma l'unità nazionale

giovedì 13 settembre 2007

REDDE RATIONEM

Tra modus operandi e modus vivendi
di Francesco Nucara

Chi non ricorda Eduardo De Filippo ed il suo "Gli esami non finiscono mai"?
Nella vita politica come nella vita in generale, c'è sempre un momento in cui si deve rendere conto del proprio operato. E può essere il redde rationem di un giorno, di un anno, o anche di un'intera vita. Spesso, può diventare difficile sapere a chi chiederlo o meglio da chi dobbiamo pretenderlo, perché la corresponsabilità può portare dritto, quando le cose non vanno bene, all'arrogarsi il diritto di scaricare le proprie responsabilità.
Ma siccome, appunto, gli esami non finiscono mai, siamo costretti, ognuno per la propria parte a reddere continuamente rationem: il coniuge all'altro coniuge, il contribuente al fisco, il deputato ai suoi elettori, il ministro ai cittadini, il leader politico ai suoi sostenitori.
Il nostro, è un paese governato con il metodo dell'alternanza - alternanza finta e malata alla radice - da rappresentanti di centro-destra o di centro-sinistra che continuano sistematicamente a non reddere rationem.
I governi si alternano, ma lo sviluppo non si avvia, perché è sempre colpa di chi li ha preceduti che ha lasciato i conti in dissesto senza reddere rationem .
Ma quando metteremo punto ed a capo?
Siamo vicini ad una "Babele" politica che impedisce una corretta e responsabile comunicazione, mirata ad una intesa civile e progredita, capace finalmente di far luce su chi ha fatto cosa e soprattutto perché.
Tutto ciò riguarda comunque il complesso delle attività umane, ma a noi, oggi ed ora, interessa il modo di essere uomini e politici. E nessuno può negare che le cose debbano essere strettamente connesse.
Non si può essere uomini corretti e cattivi politici. Le due cose non sono alternative.
Più semplicemente, se non si ha voglia o capacità, non si fa esercizio di politica.
Sono gli stessi motivi per cui un politico ambiguo e sleale non può essere un uomo corretto.
E' ancora peggio quando un uomo (e) "politico" inteso come unica entità, approfitta della fiducia talvolta incondizionata, che viene riposta nella sua persona.
Non crediamo di essere ingenui quando affermiamo che agire sospinti dalla forza dei sentimenti (amicizia, passione politica ecc.) non sia mai un errore.
E allora, quando si pensa di non voler dare o di non saper dare conto agli altri, si deve rendere conto - questo sicuro - alla propria coscienza.
Dobbiamo reddere qualcosa a qualcuno?
Pensiamo proprio di si.
Quando il non farlo diventa modus operandi e, anche peggio, vivendi, il senso letterale del reddere, quello obbligatoriamente etico del consegnare il conto, del darne soprattutto ragione, perde, per autentico malcostume, urgenza e motivazione.
E allora ci può, forse, venire in soccorso la filologia latina, che avvicina, nella grammatica storica della lingua, il verbo reddere al verbo redìre il quale suggerisce una salvifica manovra di, caso mai, reductio ad rationem.
Quante di queste manovre dovrebbero essere messe in atto e, soprattutto, quanti sensi di direzione dovrebbero essere invertiti, per poter arrivare ad una opportuna univoca chiarezza?
L'obbligo morale della "riconsegna" dovrebbe essere patrimonio di tutti, di chi ha avuto poco (ma di questo poco sarà sempre riconoscente) e di chi per caso o per fortuna, ha avuto molto e questo molto ha sprecato.
Pensiamo a governi con maggioranza ampia che non hanno però saputo gestire per riformare lo Stato. Ma pensiamo anche ad altro e ad altri.
Allora ci sembra giusto, più che opportuno, parlare di reddere, ma decidiamo finalmente di reddere jus, quella giustizia che sta sempre più nascosta alla nostra vista.
Una vista che a seconda delle circostanze può essere quella di un miope, capace di vedere da vicino ma non da lontano o quella di un presbite, che intercetta le cose lontane ma non "legge" le cose vicine. Ci vuole un oculista per aiutarci a correggere questi difetti. Ce l'abbiamo già: è il nostro partito.
Roma, 6 settembre 2007

E' NECESSARIO CONTINUARE A INVESTIRE SULLA "NOTTE BIANCA"

il Cittadino di Lodi
mercoledì 5 setembre

Quando oltre 3 anni fa, lanciammo per primi, dalle pagine del Cittadino, l'idea di tenere una "Notte Bianca a Codogno, nessuno pensava che la si potese realmente realizzare.
Il grande successo della manifestazione conferma la forte vitalità della nostra città, evidenzia la capacità dell'amministrazione di aver saputo interpretare le esigenze di socialità dei nostri concittadini e soprattutto, la fattiva collaborazione con commercianti e gestori di locali, ha permesso di presentare al territorio una serata indimenticabile.
Erano decenni che a Codogno non si vedeva un affluenza di persone così ingente.
Giovani e anziani, famiglie con bambini provenienti da ogni parte della provincia hanno assaporato il piacere di stare insieme, divertirsi senza eccessi, godendosi spettacoli di qualità fino a tarda ora. Finita la festa e dopo i doverosi consuntivi, riteniamo che già dalle prossime settimane, si debbano iniziare a porre le basi per l'edizione 2008, pensare a come consolidare e rafforzare la programmazione di spettacoli, la presenza delle società sportive e la promozione al di fuori del territorio provinciale.
questa iniziativa, assieme alla Fiera autunale ed al premio Novello, sono le manifestazioni culturali che caratterizzano, ognuno a suo modo, la promozione della nostra città.
E' necessario crederci e continuare ad investire su queste iniziative, chiedendo con forza il contributo economico degli organismi superiori in primis Provincia, regione e banche territoriali, che hanno tuto l'interesse ad esere sponsor di iniziative qualitative, storiche ed internazionali.
Paolo Cipriani
Segretario Cittadino Partito Repubblicano Italiano

SI CREANO PARTITI USA E GETTA

il Cittadino di Lodi
mercoledì 29 agosto 2007

In questa nostra società italina che, purtroppo ha perso di vista i riferimenti su cui è fondata, e brucia tutto velocemente ed è sempre alla ricerca del nuovo a tutti i costi, anche la politica si adegua: così, dopo il gelato e la pizza abbiamo anche i partiti da asporto.
In questo periodo nascono o si apprestano a nascere nuovi partiti.
Non importa in che modo e non importa le qualità che esprimono, l'importante è che siano nuovi.
Il fatto che la qualità dei partiti determini la qualità della vita democratica è considerata una variabile del tutto trascurabile.
Un nuovo partito nasce o dovrebbe nascere, qualora esistessero ideali o interessi generali che non potessero più essere rappresentati nei partiti esistenti; no mi sembra il caso italiano, sia per varietà che per numero.
Vale la pena ricordare che la nostra democrazia è "rappresentativa" degli elettori e dei loro interessi. Il fatto stesso che un partito possa essere creato per volontà di un uomo (Partito dele Libertà) o di una o più oligarchie (Partito Democratico), significa che siamo in presenza di un partito personale o di un partito assemblato meccanicamente.
I partiti rappresentativi sono formazioni storiche da governare e riformare con grande cautela ed attaverso percorsi assemblari e congresuali, cioè rapresentativi, da tenersi prima, non dopo la creazione.
Da questa riflessione si ricava l'imagine di partiti usa e getta, dei partiti da società consumistica senza valori.
Cosa che però non avviene nelle democrazie a noi vicine e sempre citate.
Mi chiedo ad esempio quanti nuovi partiti sono nati dala fine della guerra ad oggi in Inghiltera, in Germania, in Francia, in Spagna, negli Usa o nei paesi nordici?
Forse non c'è bisogno di nuovi partiti ma di un nuovo (nemmeno troppo) modo di interpretare la politica, la rappresentatività e la partecipazione; tornare a pensare alla politica con più spirito di servizio a favore dei cittadini, distogliendo il pensiero da prebende o rendite di posizione e cercando di selezionare ala fonte coloro i quai si avvicinano ai partiti con il solo fine utilitaristico personale.
Paolo Cipriani
Coordinatore Provinciale Pri Lodigiano

UN SOGNO REPUBBLICANO

Ideali e idee per realizzarli
di Francesco Nucara



Ho fatto un sogno, un sogno lungo, lunghissimo che ha impegnato la mia esistenza.
Ho sognato talvolta dormendo, tal'altra ad occhi aperti e tal'altra ancora pensando a progetti che mi aiutassero nel lavoro quotidiano professionale e politico.
Non ho mai avuto incubi nella mia ultra - quarantennale attività politica.
Ho trovato conforto nella condivisione di questi sogni da parte di tanti repubblicani e mi è, altresì, capitato di dover affrontare talvolta le loro legittime contestazioni. Ho sempre tenuto in grande considerazione l'opposizione all'interno del piccolo Partito Repubblicano, ma con tanti amici ho vissuto battaglie politiche accomunati dal nostro essere repubblicani.
Apparteniamo ad una classe politica che ha abiurato alle ideologie fin dalla sua nascita, avendo come denominatore comune gli ideali e come pratica quotidiana le idee per realizzare un progetto che ci ha sempre visti uniti: avere un'Italia più civile, una giustizia sociale adeguata, realizzare l'applicazione di un sistema meritocratico che affermi e premi il lavoro come elemento di distinzione dall'apatia e dalla massificazione dell'individuo; un'Italia che deve finalmente pensare a produrre ricchezza per distribuirla equamente in alternativa a un'Italia che distribuisce povertà.
Io non so distinguere i repubblicani di sinistra da quelli di destra, probabilmente perché sono convinto che il termine "repubblicani" contenga in sé un'unica, completa e imprescindibile aggettivazione.
Certo poi le qualità e i difetti umani, che tutti ci portiamo dietro, a seconda della nostra storia personale, possono distinguere, com'è giusto che sia, un repubblicano dall'altro: e tuttavia questo ha poco peso o nessun peso nell'attività politica.
L'unico nostro obiettivo deve essere solo ed unicamente la crescita del partito. Le ambizioni personali, anche quando trovano sbocchi positivi, sono effimere e durano lo spazio d'un mattino.
Tutti noi sappiamo che senza la base non esistono la piramide e il suo vertice.
E ai tanti repubblicani sparsi per l'Italia mi rivolgo con un accorato appello: il PRI ha le condizioni per un rilancio, senza illusioni ma con moderato ottimismo. I catastrofismi intermittenti sono deleteri come lo sarebbe un ottimismo irrazionale.
Ci aspetta un autunno molto impegnativo, ma sono certo che sapremo adempiere tutti insieme ai nostri doveri di repubblicani e, se fra i tanti, qualcuno farà la fronda, pazienza, prima o poi si renderà conto di aver sbagliato.
Buone vacanze a tutti, proprio a tutti.
Roma, 3 agosto 2007

mercoledì 1 agosto 2007

INTERVENTO SUL TESORETTO

di Antonio Del Pennino.

Colleghi Senatori,

l’oggetto di cui stiamo discutendo è un fantasma. Quel “tesoretto” che la maggioranza si appresta a ripartire, in effetti, come ha detto lucidamente Mario Draghi non esiste.
Siamo, infatti, in presenza di un provvedimento che trova la sua copertura sostanziale nell’aumento del deficit: in violazione dello spirito, ancor prima che della forma, degli accordi di Maastricht. So bene che il Governo ha presentato una sua ipotesi di copertura. Ma lo schema è visibilmente incongruo. L’onere indicato, in termini di saldo netto da finanziare, è pari a 4.131 milioni di euro. Una cifra esattamente pari all’extragettito accertato in sede di bilancio di assestamento, ridotto delle maggiori spese, nel frattempo maturate. Sconcerta, innanzitutto, la simmetria delle cifre: 4.131 milioni di miglioramento del saldo; 4.131 milioni di maggiori spese. Si è quindi raschiato il fondo del barile, senza alcuna preoccupazione per le eventuali ulteriori spese che, da qui alla fine dell’anno, dovessero maturare.
E aggiungo che la spesa effettiva del decreto legge in termini di indebitamento netto , il parametro che vale ai fini di Maastricht, è di gran lunga superiore : pari a 5,6 miliardi di euro .
Si dice che la manovra è comunque giusta. Premia istanze sociali che eurocrati, dal cuore di pietra, non riescono nemmeno a concepire. Qui c’è un’altra vistosa contraddizione. L’aumento dei minimi pensionistici costa soltanto 900 milioni di euro: pari ad appena il 16 per cento del costo complessivo del provvedimento. Il resto si sparge in una miriade di rivoli. Vogliamo forse discutere, tanto per dire a caso, dell' Istituto Nazionale per studi ed esperienze di architettura navale cui si elargisce un chip di 5 milioni di euro?
La verità è che le pensioni sono solo una ciliegina sulla torta. La parte più consistente del provvedimento è solo conseguenza del patteggiamento tra le diverse componenti di questa variegata maggioranza.
Non ci sarebbe nulla di male, se le risorse fossero sufficienti. Ma la loro inadeguatezza risulta evidente dalla struttura stessa del decreto legge. La maggior parte delle spese – il 64 per cento del totale – sono coperte solo sul 2007. Tra queste: i contratti di servizio per le imprese pubbliche, gli investimenti per la rete delle FFSS, dell’ANAS, dell’ENAV e di Poste italiane.
Non ci sembra un criterio razionale.
Esso impedisce ogni visione programmatica di medio periodo e costringe ciascuno di questi soggetti a vivere alla giornata. Questo significa che per gli anni successivi si dovrà provvedere con legge finanziaria, dando copertura a quegli 11,3 miliardi di euro previsti dal tendenziale a “legislazione vigente”, ma non a “politiche invariate”. Terminologia che rischia di occultare una parte della maggiore spesa che non è di carattere discrezionale – per quest’ultima occorreranno altri 10 miliardi – ma definita e certa ancor prima del varo della prossima legge finanziaria.
Tutto ciò dimostra un’indifferenza ai richiami della ragionevolezza e delle compatibilità finanziarie. Né si può essere certi che questo sia l’ultimo tributo da pagare. Domani sorgeranno altre necessità e sarà difficile resistere alla tentazione di replicare un pericoloso precedente.
Nel DPEF il Ministro dell’economia aveva enunciato un principio assolutamente condivisibile. “E’ auspicabile – è detto nel documento – che il valore della spesa primaria diventi un punto di riferimento nella discussione Parlamentare sul presente Documento di Programmazione Economica – Finanziaria”. In sostanza il Governo chiedeva al Parlamento di rispettare la linea del Piave costituita da un tetto di spesa primaria complessiva di “circa 700 miliardi di euro, pari al 45,3 per cento del PIL”. All’interno di questo contesto avrebbero dovuto essere trovate le risorse per finanziare circa 21 miliardi di euro di spesa ulteriore. Il che era ed è possibile solo con tagli corrispondenti.
L’impostazione, secondo i repubblicani, è corretta. Peccato sia il Governo a disattenderla. Se nel 2007 non si è riusciti a rimodulare la spesa per 5,6 miliardi di euro. Come sarà possibile tentare, per il 2008, un’operazione che è quattro volte tanto? Con questo decreto quindi il Governo sta mettendo a dura prova la sua credibilità. Ha dovuto incassare i rimproveri della Commissione europea e francamente inopportuna appare ogni analogia con il caso francese.
In quel caso l’allentamento dei vincoli finanziari è logica conseguenza di una terapia – shock rivolta ad accelerare il ritmo di crescita di quell’economia. Nel caso italiano è solo frutto dell’impotenza decisionale e delle contraddizioni della maggioranza.
Ma soprattutto il Governo ha negato le premesse del suo disegno di politica finanziaria per il 2008, ancor prima che la Legge finanziaria sia stata presentata in Parlamento.
Non riusciamo, pertanto, a comprendere come si potrà far fronte alle nuove esigenze, se non facendo ricorso ad un ulteriore aumento della pressione fiscale. Una misura odiosa, che già ha suscitato reazioni durissime da parte di tutti i contribuenti onesti che vorrebbero una contropartita adeguata in termini di servizi e prestazioni.
Alla fine il Ministro dell’Economia, anche non volendo come del resto ha fatto finora, sarà costretto a cedere ed assecondare questo disegno.
E’ questo il labirinto in cui il Governo si sta cacciando. Forse inconsapevolmente. Più probabilmente insistendo nel riproporre quella doppiezza culturale, ancor prima che politica, che ne ha finora caratterizzato il respiro. Anche se il fallimento di questa strategia è ormai evidente.La speranza è che le forze ragionevoli della maggioranza facciano, al più presto, sentire alta e forte la loro voce, per arrestare una deriva rovinosa.

lunedì 30 luglio 2007

CONFERENZA STAMPA AL SENATO: Costi della politica, le proposte dei republicani per abbatterli

Voce Repubblicana, 27 luglio 2007


Il Partito repubblicano ha presentato al Senato la propria ricetta per la riduzione dei costi della politica, individuando lo strumento degli emendamenti al ddl Lanzillotta sugli enti locali, in esame presso la commissione Affari Costituzionali, come il più efficace per rendere reale e incisiva la razionalizzazione delle spese statali. Un "pacchetto" di 40 proposte di modifica che l'Edera sottoporrà, con spirito "bipartisan" alla maggioranza, attraverso il senatore Antonio Del Pennino, che ha illustrato assieme al segretario del partito Francesco Nucara le linee portanti degli interventi ritenuti indispensabili per i tagli alla spesa pubblica. "Da quando è uscito il libro ‘La casta' - ha affermato Nucara - l'attenzione si è concentrata su aspetti demagogici e marginali come gli stipendi dei parlamentari, che in realtà incidono poco sul complesso delle uscite. Noi siamo favorevoli al principio della riduzione del numero dei parlamentari, ma le vere spese sono altre, e riguardano principalmente una serie di istituzioni locali e organismi territoriali, come le province, che andrebbero abolite, e le comunità montane, che non servono".
Ad illustrare nel dettaglio gli emendamenti al ddl Lanzillotta è stato Del Pennino, il quale ha spiegato che questi si possono idealmente suddividere in quattro tronconi. "Il primo gruppo - ha spiegato - chiede la soppressione delle comunità montane e la costituzione di unioni di comuni omogenei. In Italia esistono sei milioni di ettari non montani che fanno parte delle comunità montane. Chiediamo anche il divieto del cumulo dei gettoni di presenza per i consiglieri comunali e i consiglieri di unioni comunali o di comunità". Il secondo gruppo di emendamenti riguarda invece le aree metropolitane, che devono essere quattro: "Roma, Napoli, Milano e Torino, con l'abolizione della provincia e la suddivisione del circondario in altri comuni". Per il capitolo delle spese, Del Pennino fa presente che nel nostro paese vi sono "621 presidenti di circoscrizione e diecimila consiglieri circoscrizionali, per una spesa annuale pari a 100 milioni di euro". Rispetto al testo del ddl governativo, Del Pennino ribadisce anche un'altra tradizionale impostazione del Pri: "Siamo contrari al diritto di voto agli immigrati per le elezioni circoscrizionali, poiché si tratta di un palese controsenso con l'intenzione di voler ridurre l'importanza di questi consigli".
La terza parte degli emendamenti riguarda le province: "Siamo contro - avverte Del Pennino - la formula usata dal ddl, che parla di ‘ridefinizione' delle province, un termine vago che può significare anche un aumento delle province. Noi vogliamo che sia esplicita la riduzione delle province".
Quarto principio proposto, quello della presenza di una sola figura di manager in burocrazie locali, che invece negli ultimi anni hanno visto un proliferare delle figure dirigenziali. "Rutelli - osserva Nucara - dice che vuole fare un tavolo dei coraggiosi. Questa sarebbe una buona occasione per dimostrare coraggio, ma temiamo che non se ne farà nulla, perché lui e la Lanzillotta sono ostaggio di una maggioranza inefficace e dannosa per il Paese".

LE POSIZIONI REPUBBLICANE SUL DPEF

Quando è a rischio la stessa credibilità dell'Italia


interventi del Sen. Del Pennino

Nel corso della discussione generale svoltasi il 25 luglio, il Sen. Del Pennino ha dichiarato:

Onorevoli Senatori,

La comunità degli economisti ha accolto il DPEF con un misto di scetticismo e dure stroncature. E' un documento profondamente sbagliato: ha detto Alberto Alesina. “Illusoria la promessa” di una manovra indolore ha continuato Luigi Spaventa. “Un atto privo di ogni utilità la cui unica funzione è quella di offrire gli argomenti per i primi dibattiti da spiaggia” – ha rincarato la dose Nicola Rossi –. Potremmo continuare. La cosa è seria perché questa valutazioni critiche si accompagnano ai giudizi negativi delle più autorevoli istituzioni italiane e straniere: dalla Banca d’Italia, alla BCE, dal FMI all’OCSE. La stessa Commissione europea, per bocca del suo rappresentante Almunia, non ha nascosto il suo disappunto. L'esperienza dovrebbe insegnare che quando il coro di critiche è unanime c'è qualcosa di profondamente sbagliato. Che un clima di fiducia è venuto meno. Ed è su questo che dovremmo interrogarci.
Sia nel DPEF, ma soprattutto nella politica finanziaria del Governo, vi sono molti punti oscuri. Alcuni sono evidenti. Altri più nascosti. La somma di queste incongruenze alimenta il clima di sospetto e di sfiducia.
Iniziamo dai difetti più evidenti. In marzo, con la Relazione unificata dell’economia e della finanza pubblica, era stato previsto, per il 2007, un deficit del 2,3 per cento. La previsione era stata comunicata alla Commissione europea che aveva apprezzato.
L’Italia appariva quindi come un grande Paese virtuoso che, sfruttando il lascito positivo del precedente Governo, continuava nella strada del risanamento.
Ma subito dopo la delusione.
Con l’approvazione del D.L. n.81 del 2007 – vale a dire con la distribuzione del cosiddetto “tesoretto” la cifra saliva al 2,5 per cento, essendo il decreto coperto a deficit.
Da qui le critiche della Commissione.
La previsione di un deficit per il 2007 pari al 2,5 per cento è in parte frutto di un artificio. Esso sconta spese di competenza dell’anno in corso, rinviate al 2008. Si tratta, in particolare di 1,43 miliardi di euro – pari allo 0,1 del PIL – corrispondenti ai contratti del pubblico impiego, statali esclusi, ed ai maggiori oneri relativi al personale della scuola. Se queste poste fossero correttamente contabilizzate, il deficit effettivo risulterebbe pari al 2,6 per cento: 0,3 punti di PIL in più rispetto a quanto comunicato a Bruxelles ed al lascito del Governo Berlusconi .
Non voglio riaprire la questione di chi sia stato il merito del risanamento. Mi limito a ricordare che nel DPEF del 2001, Vincenzo Visco, allora Ministro del tesoro, indicò nello 0,8 per cento del PIL il deficit di quell’anno. Alcuni non ci credettero ed avanzarono l’ipotesi di un deficit sommerso molto più consistente. L’ISTAT, qualche anno dopo, ne certificò la dimensione indicando un valore pari al 3,1 per cento. Quindi fuori dai parametri di Maastricht. Forse memore di quell’esperienza, l’attuale Ministro del Tesoro ha cercato di giocare d’anticipo, indicando nello scorso DPEF un deficit per il 2006, pari al 4 per cento. Che nel Programma di stabilità, del dicembre 2006, veniva portato al 4,8 per cento.
A questo risultato si perveniva con una serie di manipolazioni che, per fortuna, i mercati finanziari hanno valutato con un pizzico di buon senso. Se così non fosse stato, il rating nei confronti del nostro Paese sarebbe precipitato, con esiti disastrosi.
Il deficit di base fu ricalcolato, per tener conto di quelle maggiori entrate da cui sarebbe nato il “tesoretto”, riducendo nello spazio di pochi mesi , da luglio a dicembre, il deficit dal 4 al 2,7 per cento.
Naturalmente queste oscillazioni previsionali non sono senza conseguenza per la credibilità del Paese. E ciò si sta ripetendo .
Lo confermano le indicazioni del Ministro dell’economia quando elenca le spese già previste per la prossima legge finanziaria ed, almeno per il momento, senza indicazione di copertura. Spese che saranno ancora maggiori , considerando l'accordo raggiunto sulle pensioni.
Siamo stati e siamo contrari a ridurre il tempo della vita lavorativa.
Siamo convinti che il sindacato non abbia tutelato i propri iscritti. Lavoreranno meno ma con una pensione destinata a decrescere fortemente in termini reali. Le pensioni minori saranno pari al 70 per cento della retribuzione media degli ultimi 5 anni o 10 anni, a seconda che si applichi il metodo distributivo o contributivo.
Pure ipotizzando un tasso di inflazione del 2 per cento, il loro valore reale, nell'arco di vent'anni , sarà poco superiore al 45 per cento, dell' ultima retribuzione.
Le considerazioni appena esposte spiegano il voto contrario del Partito repubblicano. Di questo Governo non apprezziamo la linea di politica economica ed il continuo cedimento alle pressioni della sinistra massimalista. In teoria approviamo la proposta del Ministro dell’economia che indica in 700 miliardi di euro (pari al 43,5 per cento del PIL) la linea invalicabile della spesa corrente al netto degli interessi.
Ma abbiamo il timore che su questa linea Egli non potrà resistere, anche se saremmo lieti di essere smentiti.



Successivamente il Sen. Del Pennino, insieme al Sen. Malan (FI), ha presentato un emendamento alla vigilia del voto sul Dpef atto "a garantire - ritenuto che l'efficacia delle politiche di bilancio, come dimostrato dall'esperienza internazionale e come sostenuto dallo stesso Governo, è assai maggiore ove si riesca ad affiancare agli impegni sui saldi di bilancio l'introduzione di vincoli sul livello massimo della spesa corrente primaria - che la prossima manovra finanziaria sia articolata in modo da assicurare che il livello dela spesa corrente primaria del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni non sia superiore, rispettivamente, a 635.546 milioni di euro per il 2008, a 648.587 milioni di euro per il 2011, come indicato dalla tavola del conto della pubblica amministrazione a legislazione vigente del Dpef stesso".
L'emenamento proposto è attuativo delle indicazioni fornite dal governo. Il Dpef, infatti, a pag 50 indica espressamente l'opportunità che il Parlamento, in sede di risuluzione di approvazione del Dpef, indichi " un valore della spesa primaria... strategico per il Governo in sede di definizione della legge finanziaria e per il Parlamento nella fase emendativa". Il governo, a tale proposito, segnala anche come un'indicazione in tal senso sarebbe pienamente coerente con le previsioni della legge di contabilità dello Stato n. 468 del 1978.
L'emendamento proposto vincola il livello massimo della spesa primaria corrente ai valori del conto consolidato delle P.A., a legislazione vigente, ovvero dei valori della spesa che si registrerebbero assenza di interventi modificativi della spesa in senso migliorativo o peggiorativo. A tale proposito si segnala che nello stesso Dpef (ala tabella III 1.3 di pagina 51) il Governo ha indicato una cifra dell'ordine di 21 miliardi di euro circa per il 2008 non inclusi nei valori tendenziali che tuttavia corrispondono a impegni già sottoscritti, a prassi consolidate e a impegni programmatici che dovranno essere inseriti nella prossima manovra finanziaria
Ove l'emendamento venisse approvato, la quota di maggiori oneri derivante dalla spesa corrente dovrebbe essere coperta attraverso riduzioni di altre spese di natura corrente. Quando invece agli oneri per spese in conto capitale o per riduzione di entrate, essi potrebbero essere coperti anche mediante misure di incremento delle entrate o di riduzione di altre spese in conto capitale.
DICHIARAZIONE DI VOTO SUL D.P.E.F.
GIOVEDÌ 26 LUGLIO 2007
(Antimeridiana)
Del Pennino ha affermato: Signor Presidente, un'indicazione è fornita dallo stesso Governo nel DPEF quando indica espressamente l'opportunità che il Parlamento, in sede di risoluzione di approvazione del DPEF, indichi un valore della spesa primaria strategico per il Governo in sede di definizione della legge finanziaria. Quindi è il Governo che aveva chiesto di dare questa indicazione nel Documento.

La dichiarazione che è stata fatta dal rappresentante del Governo, che il problema sarà affrontato successivamente, è contraddittoria con quanto lo stesso Governo aveva affermato. Inoltre, essa in realtà nasconde il conflitto interno alla maggioranza fra chi (come il Ministro dell'economia, come i colleghi Dini e D'Amico con il loro emendamento analogo al nostro ) ritiene che una precisa cifra non possa essere superata per quanto riguarda il livello della spesa corrente primaria e quanti invece non ritengono che questo obiettivo sia da perseguire in via prioritaria da parte del Governo e del Parlamento.
Per questo credo che il voto su questo emendamento riveli una contraddizione profonda se la maggioranza intende respingerlo.