mercoledì 1 agosto 2007

INTERVENTO SUL TESORETTO

di Antonio Del Pennino.

Colleghi Senatori,

l’oggetto di cui stiamo discutendo è un fantasma. Quel “tesoretto” che la maggioranza si appresta a ripartire, in effetti, come ha detto lucidamente Mario Draghi non esiste.
Siamo, infatti, in presenza di un provvedimento che trova la sua copertura sostanziale nell’aumento del deficit: in violazione dello spirito, ancor prima che della forma, degli accordi di Maastricht. So bene che il Governo ha presentato una sua ipotesi di copertura. Ma lo schema è visibilmente incongruo. L’onere indicato, in termini di saldo netto da finanziare, è pari a 4.131 milioni di euro. Una cifra esattamente pari all’extragettito accertato in sede di bilancio di assestamento, ridotto delle maggiori spese, nel frattempo maturate. Sconcerta, innanzitutto, la simmetria delle cifre: 4.131 milioni di miglioramento del saldo; 4.131 milioni di maggiori spese. Si è quindi raschiato il fondo del barile, senza alcuna preoccupazione per le eventuali ulteriori spese che, da qui alla fine dell’anno, dovessero maturare.
E aggiungo che la spesa effettiva del decreto legge in termini di indebitamento netto , il parametro che vale ai fini di Maastricht, è di gran lunga superiore : pari a 5,6 miliardi di euro .
Si dice che la manovra è comunque giusta. Premia istanze sociali che eurocrati, dal cuore di pietra, non riescono nemmeno a concepire. Qui c’è un’altra vistosa contraddizione. L’aumento dei minimi pensionistici costa soltanto 900 milioni di euro: pari ad appena il 16 per cento del costo complessivo del provvedimento. Il resto si sparge in una miriade di rivoli. Vogliamo forse discutere, tanto per dire a caso, dell' Istituto Nazionale per studi ed esperienze di architettura navale cui si elargisce un chip di 5 milioni di euro?
La verità è che le pensioni sono solo una ciliegina sulla torta. La parte più consistente del provvedimento è solo conseguenza del patteggiamento tra le diverse componenti di questa variegata maggioranza.
Non ci sarebbe nulla di male, se le risorse fossero sufficienti. Ma la loro inadeguatezza risulta evidente dalla struttura stessa del decreto legge. La maggior parte delle spese – il 64 per cento del totale – sono coperte solo sul 2007. Tra queste: i contratti di servizio per le imprese pubbliche, gli investimenti per la rete delle FFSS, dell’ANAS, dell’ENAV e di Poste italiane.
Non ci sembra un criterio razionale.
Esso impedisce ogni visione programmatica di medio periodo e costringe ciascuno di questi soggetti a vivere alla giornata. Questo significa che per gli anni successivi si dovrà provvedere con legge finanziaria, dando copertura a quegli 11,3 miliardi di euro previsti dal tendenziale a “legislazione vigente”, ma non a “politiche invariate”. Terminologia che rischia di occultare una parte della maggiore spesa che non è di carattere discrezionale – per quest’ultima occorreranno altri 10 miliardi – ma definita e certa ancor prima del varo della prossima legge finanziaria.
Tutto ciò dimostra un’indifferenza ai richiami della ragionevolezza e delle compatibilità finanziarie. Né si può essere certi che questo sia l’ultimo tributo da pagare. Domani sorgeranno altre necessità e sarà difficile resistere alla tentazione di replicare un pericoloso precedente.
Nel DPEF il Ministro dell’economia aveva enunciato un principio assolutamente condivisibile. “E’ auspicabile – è detto nel documento – che il valore della spesa primaria diventi un punto di riferimento nella discussione Parlamentare sul presente Documento di Programmazione Economica – Finanziaria”. In sostanza il Governo chiedeva al Parlamento di rispettare la linea del Piave costituita da un tetto di spesa primaria complessiva di “circa 700 miliardi di euro, pari al 45,3 per cento del PIL”. All’interno di questo contesto avrebbero dovuto essere trovate le risorse per finanziare circa 21 miliardi di euro di spesa ulteriore. Il che era ed è possibile solo con tagli corrispondenti.
L’impostazione, secondo i repubblicani, è corretta. Peccato sia il Governo a disattenderla. Se nel 2007 non si è riusciti a rimodulare la spesa per 5,6 miliardi di euro. Come sarà possibile tentare, per il 2008, un’operazione che è quattro volte tanto? Con questo decreto quindi il Governo sta mettendo a dura prova la sua credibilità. Ha dovuto incassare i rimproveri della Commissione europea e francamente inopportuna appare ogni analogia con il caso francese.
In quel caso l’allentamento dei vincoli finanziari è logica conseguenza di una terapia – shock rivolta ad accelerare il ritmo di crescita di quell’economia. Nel caso italiano è solo frutto dell’impotenza decisionale e delle contraddizioni della maggioranza.
Ma soprattutto il Governo ha negato le premesse del suo disegno di politica finanziaria per il 2008, ancor prima che la Legge finanziaria sia stata presentata in Parlamento.
Non riusciamo, pertanto, a comprendere come si potrà far fronte alle nuove esigenze, se non facendo ricorso ad un ulteriore aumento della pressione fiscale. Una misura odiosa, che già ha suscitato reazioni durissime da parte di tutti i contribuenti onesti che vorrebbero una contropartita adeguata in termini di servizi e prestazioni.
Alla fine il Ministro dell’Economia, anche non volendo come del resto ha fatto finora, sarà costretto a cedere ed assecondare questo disegno.
E’ questo il labirinto in cui il Governo si sta cacciando. Forse inconsapevolmente. Più probabilmente insistendo nel riproporre quella doppiezza culturale, ancor prima che politica, che ne ha finora caratterizzato il respiro. Anche se il fallimento di questa strategia è ormai evidente.La speranza è che le forze ragionevoli della maggioranza facciano, al più presto, sentire alta e forte la loro voce, per arrestare una deriva rovinosa.