venerdì 28 dicembre 2007

MOZIONE BIPARTISAN IN BASE AI PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE


Su iniziativa del senatore repubblicano Antonio Del Pennino, quattordici senatori, sia del centro – destra sia del centro – sinistra, hanno presentato la seguente mozione relativa alla ricerca sulle cellule staminali, che si contrappone a quella presentata dalla senatrice Binetti.

Il Senato
premesso che:

- la libertà di ricerca scientifica è un principio costituzionalmente garantito determinante per lo sviluppo della conoscenza e il benessere delle persone;
- la ricerca scientifica sulle cellule staminali è unanimemente riconosciuta come settore fondamentale e prioritario per il futuro della medicina;
- i metodi per ottenere linee cellulari staminali sono diversi e la comunità scientifica italiana e internazionale è impegnata nelle diverse tecniche, alcune delle quali implicano l'utilizzo di embrioni ed altre no; le informazioni e i progressi ottenuti attraverso una particolare tecnica sono comunque importanti per chi lavora su tecniche diverse, e la scelta tra una tecnica ed un' altra è affidata – nell'ambito delle rispettive normative – a valutazioni di tipo scientifico;

impegna il Governo:

- a garantire che i fondi destinati dallo Stato italiano alla ricerca scientifica in generale, e a quelle sulle cellule staminali in particolare, siano assegnati attraverso criteri di massima trasparenza e pubblicità, con meccanismi di valutazione tra pari (peer review) che garantiscano la credibilità scientifica delle scelte effettuate, senza che siano pregiudizialmente determinate delle discriminazioni contro particolari tecniche di ricerca legali nel nostro Paese, siano esse tecniche di ricerca sulle cellule staminali cosidette "embrionali" (ottenute da linee cellulari importate dall'estero) o cosidette "somatiche" (o adulte);
- a mantenere il proprio sostegno alla soluzione di compromesso stabilita con l'approvazione del Settimo programma quadro dell'Unione europea, che prevede la finanziabilità di entrambi i principali filoni di ricerca sulle cellule staminali attraverso regole severe a garanzia dell'interesse generale e del carattere scientifico delle valutazioni.
Primo firmatario è il Sen. Antonio Del Pennino (PRI), le altre firme sono di Antonio Paravia (AN), Gavino Angius (Socialisti per la Costituente), Alfredo Biondi, Lino Jannuzzi, Ferruccio Saro, Egidio Sterpa, Giorgio Stracquadanio (Forza Italia), Enzo Bianco, Antonio Maccanico, Valerio Zanone (Partito Democratico), Natale D'Amico (Liberaldemocratici), Madga Negri (Gruppo per le autonomie).

mercoledì 12 dicembre 2007

Sveglia Italia…che la situazione non è buona

Queste settimane convulse e schizofreniche, che hanno caratterizzato il mondo della politica italiana, mi hanno portato a riflettere. Una riflessione, devo ammettere, a tratti sofferta ma tutto sommato utile per cercare di capire dal profondo le motivazioni del nostro impegno.
Reputo la mia analisi più figlia dello stomaco che della mente, anche perché cercare di trovare logica negli steps ai quali stiamo assistendo da parte di coloro che ritengono, indubitabilmente supportati dal consenso degli elettori, di governare non solo il nostro Paese, ma soprattutto due filosofie di società diverse e contrapposte, sia un esercizio intellettuale di difficile comprensione, e quindi è preferibile discuterne in termini di “digestione”.
Il Centro-Sinistra ha fallito su tutta la linea, anzi si è dimostrato peggio di quello che molti analisti avevano previsto. Prodi si è rivelato inadeguato al ruolo che la metà degli elettori ( poco più o poco meno ) gli aveva consegnato alle passate elezioni. La nascita del Partito Democratico, che in una democrazia matura e compiuta sarebbe stato salutato come un traguardo importante, si sta invece trasformando in una manovra verticistica ove ognuno dei partecipanti alla querelle sta cercando di riposizionarsi. Walter Veltroni con enfasi annunciò che il PD sarebbe stato un partito senza tessere, aperto ai cittadini per i cittadini. Non è vero! Prova ne sia il fatto che nonostante il romantico e teatrale scioglimento dei due partiti che costituiscono la cellula primaria dell’operazione - DS e Margherita - continuino tranquillamente la campagna per i tesseramenti ( per verificare le mie parole basta connettersi ai siti ufficiali http://www.democraticidisinistra.it/ e http://www.lamargherita.it/ ).
Non bastasse tutto questo assistiamo quotidianamente al patetico teatrino senatoriale che ci offre, non fosse per la gravità della situazione, uno spettacolo paradossale.
Una maggioranza divisa e litigiosa con due leader, uno con contratto a termine, Prodi, l’altro in pectore nominato da primarie farlocche dal risultato già scritto. Ultima, ma solo in termini di tempo, l’ufficiale dichiarazione niente meno che del Presidente della Camera Fausto Bertinotti ( terza carica dello Stato ndr ) il quale sancisce, se vogliamo con grande onestà intellettuale, la fine oggettiva dell’esperienza di questo Esecutivo.

Ma se Sparta piange, Atene non ride.

Infatti non è da meno complessa la condizione nel Centro-Destra.
Berlusconi in Piazza San Babila annuncia la nascita del Partito del Popolo ottenendo, da grande comunicatore quale è, il risultato voluto di offuscare la crescente campagna mediatica nei confronti del Partito Democratico. Ma a quale popolo Berlusconi si rivolge? Quello che crede in un movimento democratico e liberale capace di contrapporsi allo statalismo della sinistra? Quello che spera in un futuro meno oppresso dalle logiche di Palazzo? Oppure quello che, genericamente ed emotivamente cerca solo un alternativa a questo Centro-Sinistra senza distinguere le diverse realtà politiche che si muovono nell’area dell’opposizione?
Gli alleati del Centro-Destra, spiazzati dall’iniziativa estremamente efficace del leader della CdL, hanno reagito più in preda ad un’isteria irrazionale che non ad una riflessione politica. Il risultato? Gli elettori della Casa delle Libertà, confusi, assistono al tutti contro tutti.

Ora, personalmente, di quello che faranno gli altri partiti del Centro-Destra poco mi interessa, non per superficialità ma perché quello che mi tocca più sul vivo è quello che farà il Partito Repubblicano.
La Convention di Milano ha suscitato un grande interesse e soprattutto ha dato una vigorosa spinta emotiva a coloro che ancora sentono vivi i valori repubblicani, credono che gli strumenti, gli spazi per portare avanti le battaglie liberal-democratiche ci siano come ci sono sempre stati ed aderiscono con entusiasmo a tutto ciò che può servire per promuovere tali principi, ed encomiabile è l’atteggiamento della dirigenza nazionale che nonostante la generale situazione di caos, continua tenacemente a supportare ed incoraggiare tali occasioni d’incontro.

Restano aperte tante questioni, la legge elettorale, il referendum, la sostanziale impossibilità di fare previsioni, non dico a lungo, ma nemmeno a medio termine a causa del perenne e continuo mutamento del panorama politico, ma noi abbiamo l’obbligo morale, il dovere civile di essere protagonisti del cambiamento.
La diatriba sulla riforma della legge elettorale è di scarso interesse per tutti i cittadini che la mattina si recano a lavoro negli uffici, nelle fabbriche, nelle attività commerciali ed a loro dobbiamo dare risposte politiche. Non stanno svegli la notte perché non sanno se andranno a votare alla tedesca, alla francese o alla spagnola, restano svegli perché sono preoccupati per il mutuo della loro casa, la cui rata cresce in maniera esponenziale e non ne capiscono sino in fondo il motivo, non dormono perché non sanno prevedere il futuro di loro figlio che finita l’Università non sa se verrà recepito come risorsa per il Paese o come peso sociale in quanto disoccupato, sono desti perché neanche nelle loro abitazioni si sentono al sicuro.

Alcuni pensano che in questi frangenti meglio sia restare fermi ed attendere che la situazione diventi più chiara, meglio delineata. Io ritengo che, seppur con prudenza ed oculatezza, caratteristiche peculiari del nostro Partito, dobbiamo comunque essere pronti ad intercettare ed accogliere quella parte di elettorato che cercano un referente serio e defilato dalla “politica spettacolo”. Abbiamo tutti la voglia, la passione, la preparazione per essere protagonisti di questi tempi ed assumerci la responsabilità di partecipare attivamente al cambiamento.

Non resta che ricordarselo tutti i giorni e non rimane altro che lavorare perché questo si avveri.

Roberto Arosio
Segretario Esecutivo PRI
Lombardia

lunedì 10 dicembre 2007

Intervento del Senatore Antonio Del Pennino al convegno su “SICUREZZA E TERRITORIO” promosso dal Consigliere De Angelis presidente del Gruppo Misto di Palazzo Marino

Il tema della sicurezza e della lotta alla criminalità è da sempre problema per i governanti.

Ma si presenta con particolari caratteristiche nelle moderne società industriali.

Aggravato dal problema del fenomeno della globalizzazione e dalle grandi ondate migratorie.

Aggravato in quelle realtà che vedono confinanti società del benessere e realtà sottosviluppate.

Non è certo un problema solo italiano ed europeo. Basti pensare a quanto avviene alla frontiera tra USA e Messico.

L’Italia però è più esposta di altri. Per la vicinanza coi paesi africani del Mediterraneo e dei paesi europei che escono dall’esperienza comunista che aveva procurato condizioni di grave indigenza.

Ma esposte anche per la presenza e l'incidenza di grandi organizzazioni criminali, sempre alla ricerca di manovalanza, da arruolare e che trovano in molti disperati brodo di coltura.

Questo pone problemi alla politica e agli amministratori pubblici, stretti tra due opposte esigenze.

Quella di reprimere per garantire la sicurezza dei cittadini, e quella di non violare diritti elementari di libertà.

E il rischio è che il pendolo tra queste due opposte esigenze nelle sue oscillazioni non trovi il punto di equilibrio.
Che si ceda a tentazioni ultrarepressive, identificando emarginazione sociale e micro – criminalità senza cercare, proprio per estirpare la seconda, di affrontare la prima. O si indulga ad un “buonismo caritativo”, giustificando in nome della solidarietà al “povero” all’”emarginato” anche violazioni della legge, e delle normali regole di convivenza.

Una risposta politica seria deve cercare di prevenire, più che reprimere, ma non può sfuggire al dovere di interventi repressivi quando questi si rendono necessari per garantire i diritti del cittadino, rispetto a chi non li rispetta.

E’ un punto di equilibrio difficile da raggiungere, sia per i legislatori che per gli amministratori, entrambi sottoposti a contrastanti pressioni.

Ma è una ricerca, quella del punto di equilibrio che ci deve sempre ispirare.
E lo deve fare oggi con riferimento a due temi che abbiamo nell’agenda parlamentare.
Mi riferisco al decreto legge relativo all’allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza di cittadini comunitari, e al disegno di legge annunciato dal governo, anche se non ancora presentato alle Camere, relativo alle nuove attribuzioni ai Sindaci di funzioni di competenza statale e a una serie di disposizioni relative a reati contravvenzionali che violano il tessuto urbano.

Sul 1° punto:
si tratta di un decreto modificativo del decreto legislativo della direttiva 2004/38/CE.

Ora la direttiva 2004/38/CE è stata redatta al fine di tutelare il cittadino comunitario dalle eventuali restrizioni di Stati membri dell’Unione del suo diritto di libera di circolazione. Essa, quindi è orientata a proteggere chi si presume entri regolarmente in un altro Stato dell’ Unione,è cioè concentrata sull’ingresso di chi vuole stabilirsi per lavoro e protegge costui da un regime di facili allontanamenti.
La realtà deve invece tenere conto che esiste una fascia di cittadini provenienti da Paesi comunitari, che non hanno nessuna intenzione di farsi riconoscere, di rispettare la legge e di lavorare legalmente: persone che entrano nel territorio nazionale per porsi ai margini della vita sociale, e spesso delinquere dopo averlo già fatto nei Paesi d’origine.
La situazione di costoro, pur non essendo forse contemplata al momento dell’emanazione della direttiva, trovava, però, un condizionamento al comma 5 dell’art. 5 della stessa che prevede, a proposito del diritto d’ingresso: “Lo Stato membro può prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.
Tale disposizione non è stata però recepita dal decreto legislativo 30/2007 che nulla prevede sulla dichiarazione d’ingresso e solo prescrive all’art. 9 l’obbligo, per i cittadini dell’Unione che intendono soggiornare in Italia per un periodo superiore a 3 mesi, di iscriversi all’anagrafe.
Ora è evidente che questa mancata attuazione nella nostra legislazione di un obbligo che la direttiva consente di prescrivere impedisce ogni effettiva verifica sulla data di ingresso del cittadino comunitario e conseguentemente della data ex quo lo stesso deve richiedere il permesso di soggiorno, favorendo la permanenza oltre i 3 mesi consentiti.
Né questa disposizione viene modificata dal decreto presentato dal governo 1/11/2007 che non fissa alcun termine inderogabile per il cittadino comunitario, una volta entrato, di dichiarare la sua presenza sul territorio nazionale.
Ecco un esempio in cui la carenza del legislatore nel fissare una norma in prevenzione, finirà poi col dover imporre il ricorso a misure repressive.

Il provvedimento di allontanamento di coloro che non hanno acquisito il diritto di soggiorno non è precluso dalla direttiva n. 38. La direttiva 38 vieta l’immediato allontanamento solo per coloro che, avendo già maturato il “diritto di soggiorno” – perché originariamente in possesso dei requisiti -, poi hanno perduto i requisiti medesimi; non riguarda invece chi, non avendo provveduto né a dichiarare la propria presenza né a iscriversi all’anagrafe, non può rivendicare il diritto di soggiorno.
Anche su questo punto il decreto legislativo 30/2007 appare più lassista della direttiva. Né a tal proposito innova il nuovo decreto legge del governo.
E’ evidente che se, rispetto a una direttiva europea garantista, il legislatore nazionale introduce una normativa che allarga le possibilità di permanenza sul territorio nazionale e riduce la possibilità di allontanamento questo suona come un richiamo alle presenze illegali nel nostro paese.
Ma vi è di più.
Il decreto legge presentato dal governo rappresenta la correzione di “un errore tecnico” – contenuto nel decreto legislativo 30/2007 – errore tecnico, come ha correttamente riconosciuto il Ministro Amato alla 1a Commissione del Senato il 25/9/2007, che ha in qualche modo ridotto al possibilità di espulsione di un “cittadino comunitario”.
Si tratta della mancata previsione di ricorrere all’espulsione con l’accompagnamento alla frontiera per quei cittadini per cui esistono, secondo i termini della direttiva, motivi imperativi di Pubblica Sicurezza.
E’ una questione annosa, che si pose già in occasione del decreto Martelli del ‘90 sugli extracomunitari. Quello dei limiti alle espulsioni con accompagnamento alla frontiera.
E l’esperienza indica che l’espulsione attraverso intimazione senza accompagnamento alla frontiera resta una grida manzoniana.
E anche nella vigenza del decreto 181/2007 che lo ha introdotto per i cittadini comunitari come caso straordinario i dati ci dicono che su 177 provvedimenti di espulsione decisi dopo l’entrata in vigore del decreto, secondo dati del Ministero degli Interni, solo 78 sono stati eseguiti per motivi imperativi.

Alcuni brevi cenni ora sul disegno di legge che dovrebbe consentire a livello locale maggiori possibilità di intervento per la sicurezza della città.
Si tratta del provvedimento richiesto tra agosto e settembre a gran voce soprattutto da sindaci del centro – sinistra (Domenici, Cofferati, Chiamparino).
Il disegno di legge governativo – ammesso che rimanga quello – ragione per cui il giudizio è provvisorio – prevede tre misure utili: maggiori sanzioni per l’impiego dei minori nell’accattonaggio, consente l’accesso della polizia municipale alla banca dati della polizia statale, contiene nuove norme per la pubblicazione del provvedimento nella casa comunale in sostituzione delle notificazioni per quanto riguarda le contestazioni delle violazioni amministrative.
Ma mantiene come perseguibili solo a querela di parte i reati di danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di cose altrui , occupazione di suolo pubblico e generica rimane, in quest’ultimo caso, la previsione che i sindaci possano ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti.
Più incisiva invece la disposizione che prevede, se si tratta di occupazione a fini di commercio la chiusura dell’esercizio.
Ma quella che appare ancora vaga e non incidente è la nuova formulazione dell’art. 54 del TUEL sulle competenze dei Sindaci, che affida loro generici compiti relativi alla” vigilanza per quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico, informandone il prefetto” e quello di “assicurare la cooperazione della Polizia Locale con le forze di polizia statale, secondo forme che saranno disciplinate con apposito regolamento del Ministero dell’Interno”, che chissà quando verrà.
Anche qui quindi, per tornare a quanto dicevo all’inizio, siamo in presenza di norme che non garantiscono la prevenzione e si riducono a contemplare interventi repressivi di dubbia efficacia.
E’ necessario invece uno sforzo di tutta la politica per vincere l’illusione di poter convivere con le baraccopoli, gestendo in modo indolore l’immigrazione irregolare.
E su questo terreno sono chiamate in prima fila le responsabilità delle amministrazioni locali.
Ma è anche necessario uno sforzo proprio nella logica della prevenzione, per evitare – uso io, laico non sospetto di debolezze verso Oltretevere - le parole del Cardinal Martini: “per evitare, cioè, uno scontro di civiltà, ma dimostrare che noi cresciamo e maturiamo proprio nel confronto col diverso”.
INTERVENTI DEL SENATORE ANTONIO DEL PENNINO IN SENATO SUL DECRETO LEGGE RELATIVO ALLONTANAMENTO DAL TERRITORIO NAZIONALE DI CITTADINI COMUNITARI PER ESIGENZE DI PUBBLICA SICUREZZA.
Signor Presidente, illustrerò l'ordine del giorno G101, da me presentato, che tende ad indicare una soluzione che può contribuire a risolvere, sia pure parzialmente, il grave problema del sovraffollamento delle carceri italiane. Sappiamo tutti come questo fenomeno dipenda in modo consistente dalla presenza di detenuti di nazionalità straniera, prevalentemente extracomunitari.
Nei confronti di questi ultimi, in base all'articolo 15 del decreto legislativo n. 286 del 1998, è previsto che l'esecuzione dell'espulsione avvenga solo subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione. È pur vero che il successivo articolo 16 dello stesso decreto legislativo prevede che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per una reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta delle parti, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, nei confronti di uno straniero rispetto al quale ricorrano gli estremi di espulsione amministrativa, quando ritiene di dover applicare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrano le condizioni per ordinarne la sospensione condizionale, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Ma la seconda previsione interessa sicuramente una quota marginale rispetto ai condannati ad una pena detentiva superiore. E queste norme riguardano solo, come dicevo, gli extracomunitari.
Per quanto riguarda, invece, i cittadini comunitari, il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, nulla dice in proposito. Ma è evidente che anche in questo caso, per i princìpi generali, vale il criterio della preventiva espiazione della pena rispetto al provvedimento di espulsione. Al massimo si potrebbe ipotizzare una procedura quale quella delineata dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 286, in ragione della previsione contenuta nell'articolo 31 della direttiva comunitaria, che prevede l'immediata espulsione qualora il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. Ma si tratta di un'ipotesi interpretativa, nulla di più. Inoltre, la norma non è stata recepita nel citato decreto legislativo n. 30 di attuazione della direttiva, né ripresa del decreto oggi al nostro esame.
Siamo, quindi, in presenza di una materia per la quale appare opportuna una più completa ridefinizione normativa, sulla base di appositi accordi di carattere internazionale. Mentre per quanto riguarda i Paesi extracomunitari la possibilità di giungere a convenzioni, che prevedono l'ipotesi che il cittadino condannato in Italia venga espulso ed espii la pena nel Paese d'origine, appare francamente remota e richiederebbe comunque una molteplicità di accordi bilaterali, diversa invece è la situazione per quanto riguarda i cittadini comunitari.
In questi casi appare possibile ipotizzare una convenzione in sede europea che stabilisca che il cittadino comunitario, condannato per fatti previsti come reati nel Paese ospitante, qualora gli stessi fatti siano considerati reati anche dalla legislazione del Paese d'origine, possa esser espulso dal Paese ospitante ed il Paese d'origine garantisca l'espiazione della pena nei suoi istituti penitenziari, salva la possibilità ovviamente di ricorrere avverso la sentenza, se non definitiva, del Paese che l'ha emessa presso gli alti gradi di giudizio dello stesso, magari usando lo strumento della teleconferenza, ormai ampiamente utilizzato nei procedimenti giudiziari.
Si tratterebbe di una soluzione estremamente auspicabile, che rafforzerebbe la collaborazione giudiziaria nei Paesi dell'Unione; renderebbe più facile il recupero del reo e, per quanto riguarda il nostro Paese, servirebbe anche, se in misura ridotta, ad alleggerire il sovraffollamento delle carceri. Questo è il senso dell'ordine del giorno presentato per impegnare il Governo a farsi promotore a livello europeo di una convenzione di questo tipo.
GIOVEDI' 29 NOVEMBRE 2007
Signor Presidente, desidero fare una dichiarazione molto pacata e serena su questo subemendamento partendo dalla lettura dell'articolo 5, comma 5, della direttiva 2004/38/CE, cui si ispirano sia l'emendamento del Governo, sia il subemendamento del collega Schifani ed di altri senatori. L'articolo 5, comma 5, di quella direttiva stabilisce che: «Lo Stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza»; quindi la facoltà è contenuta nella direttiva. Tuttavia, tale norma dà una facoltà di prescrivere un obbligo e non un'altra facoltà: questo è il punto centrale. Ecco perché il termine «può» a mio avviso deve essere sostituito dal termine «deve», come propone il subemendamento 1.300/3 (testo 2).
Tuttavia, vi è di più, in quanto dall'emendamento del Governo deriva una sanzione indiretta, sia pure non di particolare rilevanza, cioè che in assenza di una dichiarazione di presenza, si presume che la presenza decorra già da tre mesi. Pertanto, se diamo una facoltà e non prevediamo un obbligo di fare tale dichiarazione, non aiutiamo il cittadino comunitario, lo mettiamo in una condizione di maggior confusione e debolezza; infatti, poiché egli non sa di dover fare questa dichiarazione, ma sa genericamente che la può fare, è molto più difficile che la faccia e che quindi abbia un titolo... (Il microfono si disattiva automaticamente).
MERCOLEDI' 5 DICEMBRE 2007
Signor Presidente, Colleghi Senatori,
si è arrivati al voto finale sul disegno di legge di conversione del decreto relativo all'allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza di cittadini comunitari in un clima diverso da quello che i repubblicani si erano augurati.
Non cioè a conclusione di un positivo confronto tra maggioranza e opposizione su un tema che, come ci ha ricordato anche ieri il Capo dello Stato, richiederebbe condivisione e non conflittualità, ma a seguito di un irrigidimento della maggioranza che, con la reiezione prima di quasi tutti gli emendamenti dell'opposizione e il ricorso poi da parte del Governo al voto di fiducia su un emendamento relativo alle parti più qualificanti del testo, ha interrotto ogni possibilità di dialogo.

A questo si è giunti sotto le pressioni della sinistra antagonista che sostiene l'attuale esecutivo , che non ha consentito quelle correzioni che sarebbero state necessarie per rendere il provvedimento realmente efficace.
E non era già di per sé compito semplice, perché i margini entro cui dovevamo muoverci erano abbastanza ristretti in quanto non potevamo distaccarci dalle prescrizioni contenute nella direttiva europea che era stata redatta con l'obiettivo di tutelare il cittadino comunitario dalle eventuali restrizioni di Stati membri dell'Unione rispetto al suo diritto di libera circolazione , e ha quindi natura squisitamente garantista e non ha previsto il diffondersi del fenomeno, verificatosi con l'allargamento dell'unione, di cittadini provenienti da altri paesi europei che si trasferivano per porsi ai margini della vita sociale del paese ospite e delinquere, dopo averlo magari già fatto nei paesi di origine.
La situazione di costoro , pur non essendo contemplata al momento dell'emanazione della direttiva, trovava però una possibilità di controllo al comma 5 dell'articolo 5 della stessa che prevede , a proposito del diritto di ingresso, che lo stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza sul territorio nazionale in un termine ragionevole non discriminatorio e prevedere proporzionate sanzioni.
Ora il disegno di legge che ci accingiamo a votare non prevede né questa prescrizione né il termine, prevede solo la facoltà del cittadino comunitario di dichiarare il suo ingresso nel paese ospite, vanificando quindi ogni effettiva possibilità di controllo.
Ma il punto più delicato e irrisolto resta un altro: quello delle forme attraverso le quali si dà corso al provvedimento di espulsione .
E' una annosa questione che si pose già, a proposito dei cittadini extracomunitari, in occasione del decreto Martelli del '90.
L'esperienza di questi anni ci ha insegnato che l'espulsione attraverso intimazione senza accompagnamento alla frontiera resta una grida manzoniana .
Ora il decreto di cui stiamo discutendo la conversione, al pari dell'emendamento su cui il governo ha posto la fiducia, dà una definizione limitativa dei motivi imperativi di pubblica sicurezza che, in base alla direttiva, possono consentire l'espulsione immediata .
Prova ne è il fatto che i dati del Ministero dell'Interno ci dicono che nella vigenza dello stesso decreto, su 177 provvedimenti di espulsione decisi dopo la sua entrata in vigore, solo 78 sono stati eseguiti per motivi imperativi, e quindi con accompagnamento alla frontiera .
Dopo l'efferato omicidio di Giovanna Reggiani, su pressione dell'onorevole Veltroni, il Governo si era deciso a ricorrere a un decreto , presentandolo come uno strumento che aveva valore non solo repressivo ma anche preventivo, per il suo carattere di deterrenza .
Temiamo che, per la debolezza del suo impianto, il provvedimento che ci accingiamo a votare, quando ne saranno a tutti evidenti i contenuti, non solo si rivelerà strumento di dubbia efficacia per gli allontanamenti dal territorio nazionale, ma non avrà nemmeno effetto di dissuasione rispetto a coloro che sono venuti nel nostro Paese non per integrarsi e lavorare, ma con tutti altri obiettivi.
Non è una logica ciecamente repressiva quella che non ci consente di votare questo provvedimento, ma la preoccupazione che, se alle declamazioni seguiranno dimostrazioni di impotenza rispetto al fenomeno dell'immigrazione irregolare, lo stesso sia destinato ad aggravarsi.

GIOVEDI' 6 DICEMBRE 2007

INTERVENTI DEL SENATORE ANTONIO DEL PENNINO SULLA LEGGE FINANZIARIA 2008

Signor Presidente, l'emendamento 1.2 si colloca nella logica di quanto ho avuto modo di affermare ieri in sede di discussione generale, quella cioè di cercare di rovesciare la tendenza che ci sembra propria di questo Governo del tassa e spendi, fissando, quindi, un paletto preciso rispetto alla ipotesi che si verifichino entrate maggiori di quelle che sono state preventivate dal Governo, affinché queste non vengano disperse in mille rivoli, in mance e in spese minori ma vengano invece utilizzate per ridurre innanzitutto il deficit e successivamente la pressione fiscale.
Abbiamo preso per buona la cifra indicata dal Governo nell'allegato 8 alla finanziaria che aveva presentato, cioè 426.708 milioni al netto delle regolazioni contabili e debitorie; cifra che troviamo poi confermata anche nelle tabelle allegate al testo licenziato dalla Commissione.
Conseguentemente, partendo da questo dato, affermiamo che le maggiori entrate tributarie che si realizzassero nello stesso esercizio vanno prioritariamente destinate a realizzare gli obiettivi di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e sui saldi di finanza pubblica definiti dal DPEF (ed in questo non modifichiamo la previsione contenuta nel testo della Commissione). In caso in cui le maggiori entrate siano eccedenti rispetto a tali obiettivi prevediamo invece una destinazione diversa da quella decisa dalla Commissione e cioè che debba essere istituito un apposito fondo, denominato fondo per il giusto indennizzo fiscale, da destinare, con successivi provvedimenti, esclusivamente al taglio lineare dell'IRPEF e dell'IRES, non ad una riduzione selezionata come quella che prevede la Commissione.
Questo ci sembra rispondere ad una logica, secondo noi, fondamentale, quella di indicare una volontà precisa da parte del Parlamento di ridurre la pressione fiscale qualora dovessero giungere ulteriori entrate, dopo che queste sono state destinate alla riduzione del disavanzo, e porre, ripeto, un paletto al tentativo di spendere questi quattrini in modo indiscriminato. Questa è la logica del mio emendamento che raccomando al voto dell'Assemblea.
MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE 2007 seduta antimeridiana

Signor Presidente, intervengo a titolo personale per preannunciare il voto favorevole sull'emendamento 2.800, rispetto ad una situazione che ha sollevato da parte del Commissario europeo - come è stato poc'anzi ricordato - una richiesta di chiarimento.
Per quanto riguarda l'affermazione contenuta nella dichiarazione del senatore D'Onofrio, che faceva scandalo del fatto che si fa riferimento anche ad attività non aventi fini di lucro, credo si debba sottolineare che molto spesso si dichiara di non avere fini di lucro mentre poi in concreto le finalità di lucro vengano perseguite con queste attività.

MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE 2007 seduta pomeridiana

Signor Presidente, su un punto condivido il giudizio del collega Fluttero. Siamo in presenza di una formulazione dell'articolo 13 che non risolve il problema delle comunità montane, ma potremmo dire, con un gioco di parole, che in questo caso la montagna ha partorito il topolino. Tuttavia, il problema esiste e ci conviene probabilmente affrontarlo in questa sede, senza attendere il cosiddetto codice delle autonomie, i cui tempi di discussione e di esame da parte di questo ramo del Parlamento sono certamente destinati a prolungarsi notevolmente.
Con l'emendamento 13.6, interamente sostitutivo dell'articolo 13, propongo la soppressione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali: in poche parole, la soppressionetout court delle comunità montane e non una soppressione a spizzichi, come quella prevista dall'articolo 13 proposto dal Governo.
Vorrei dare ragione di questa scelta: quando furono istituite le comunità montane, nel 1971, erano tempi di ristrettissime deleghe alle Province ed era anche una fase storica il cui il problema dell'abolizione delle Province era all'ordine del giorno. Negli anni successivi si è attuata una modifica nell'equilibrio delle competenze dei poteri locali: alle Province sono stati affidati compiti in materia di difesa del suolo, deforestazione, parchi, riserve naturali con funzioni che riassorbono quelle assegnate alle comunità montane. La sopravvivenza delle comunità montane, quindi, se non abbiamo il coraggio di affrontare il tema della revisione costituzionale e dell'abolizione delle Provincia, non ha più significato. È un costo aggiuntivo e una complicazione del nostro sistema di autonomie locali.
Vorrei portare all'attenzione dei colleghi alcuni dati a sostegno della mia richiesta di sopprimere gli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali. Oggi siamo in presenza di 356 comunità montane, la cui superficie è di 16 milioni di ettari, a fronte di superfici montane del Paese di soli 10 milioni di ettari.
Le comunità montane hanno spese correnti per 852 milioni e 131.000 euro a fronte di spese dichiarate in conto capitale di 1 miliardo e 167 milioni di euro. Ma 111 milioni e 615 euro, indicati come spese in conto capitale, sono destinati all'amministrazione generale, alla gestione e al controllo. Se poi guardiamo alle tabelle relative alle spese per investimenti divise per interventi si accerta che per l'acquisizione di beni immobili sono stati spesi 353 milioni e 665.000 euro su un totale di 862 milioni e 246.000 euro. Quindi, non siamo in presenza di spese di investimento ma di rilevanti spese per acquisizione di immobili o spese correnti.
Se pensiamo che hanno 7.500 dipendenti, il 15 per cento di quelli delle Province, e che le spese per gli emolumenti dei presidenti delle comunità montane ammontano a 13 milioni e 680.000 euro, mentre non abbiamo i dati per i gettoni dei consiglieri, ci rendiamo conto come questo rappresenti un costo della politica reale che non risponde più a funzioni che debbono essere svolte, potendo essere espletate benissimo dai singoli Comuni, dall'Unione dei Comuni o dalle Province.
Quindi, la richiesta di soppressione delle comunità montane sostituendo all'articolo 13 del testo del Governo la proposta di abolizione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali mi sembra meritevole del consenso dell'Aula.

VENERDI' 9 NOVEMBRE 2007 seduta antimeridiana

Signor Presidente, come avevo già accennato nel corso della seduta antimeridiana, questo è un emendamento aggiuntivo e non sostitutivo del comma 1 dell'articolo 14. Se lei intende metterlo in votazione adesso, procederei con la dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Riguardando il comma 1, è stato inserito qui.

DEL PENNINO (DCA-PRI-MPA). Signor Presidente, vorrei allora richiamare l'attenzione dei colleghi, in particolare dei senatori Salvi e Villone, su questo emendamento che propone di limitare i consigli di circoscrizione ai Comuni con più di 300.000 abitanti. Stante la legislazione vigente, siamo in presenza di una situazione in cui i Comuni con più di 30.000 abitanti possono istituire consigli di circoscrizione ed infatti abbiamo 790 consigli di circoscrizione, con 12.541 consiglieri, e dei casi clamorosi.
Cito alcuni di questi casi clamorosi: Novara, con 100.000 abitanti, 13 circoscrizioni e 249 consiglieri (1 ogni 400 abitanti); Guidonia, con 68.000 abitanti, 9 circoscrizioni e 144 consiglieri (1 ogni 450 abitanti); Gorizia, con 35.000 abitanti, 10 circoscrizioni, 132 consiglieri (1 ogni 260 abitanti). Se non rappresenta uno spreco ed un costo inutile della politica questo fatto, non so quali altri possono essere individuati.
Ecco perché propongo di modificare l'articolo del testo unico degli enti locali relativo ai consigli di circoscrizione e di limitarne la possibilità di istituzione solo nei Comuni con più di 300.000 abitanti. D'altro canto questo corrisponde pure alla logica in cui furono istituiti i consigli di circoscrizione, che rispondevano all'esigenza di articolare forme di decentramento nei grandi Comuni, nelle aree metropolitane, nei Comuni capoluogo di Regione; poi abbiamo esteso tale possibilità in modo indiscriminato con i risultati che ho poc'anzi ricordato.
Ecco perché insisto per l'approvazione di questo emendamento, che certamente può rappresentare un contributo non marginale alla riduzione dei costi della politica. (Applausi dal Gruppo UDC e del senatore Firrarello).
PRESIDENTE. Metto ai voti, mediante procedimento elettronico senza registrazione dei nomi, l'emendamento 14.5, presentato dal senatore Del Pennino.
Dichiaro aperta la votazione.
VENERDI' 9 NOVEMBRE 2007 seduta pomeridiana

Intervengo anch'io, signor Presidente, per chiedere di aggiungere la firma all'emendamento 30.0.13 del collega Castelli e per fare presente che qui ci troviamo di fronte ad una proposta che è davvero tale da non poter essere rifiutata da qualunque persona di buon senso. Qui si prevede di sviluppare delle ricerche per la terza e quarta generazione di energia nucleare: quelle medesime ricerche che gli stessi ministri D'Alema e Bersani, negli scorsi giorni, hanno dichiarato essere probabilmente necessarie al nostro Paese. Respingere questo emendamento significherebbe una affermazione per partito preso, comporterebbe non fare una scelta a favore di altre energie contro il nucleare, ma fare una scelta contro la libertà di ricerca, ponendo un veto nei confronti di qualunque studio sulla possibilità di utilizzare una energia che in tutto il mondo, ormai, viene vista come quella necessaria.
LUNEDI' 12 NOVEMBRE 2007

Signor Presidente, innanzitutto intendo aggiungere la mia firma e quella del collega Saro sull'ordine del giorno G.84.100. Inoltre, vorrei esprimere una brevissima considerazione.
L'ordine del giorno G.84.100 impegna il Governo ad assumere le iniziative necessarie volte a modificare i criteri di ripartizione del gettito dell'8 per mille dell'IRPEF. È chiaro che se questa proposta interviene su materie oggetto del Concordato sarà necessario assumere un'iniziativa nei confronti della Santa Sede per individuare una ridefinizione dei termini della questione.
Ma vi è un aspetto che può essere modificato, non vincolato dal Concordato, rappresentato dal fatto che oggi la ripartizione non avviene sull'ammontare quantitativo delle singole indicazioni, ma sul numero delle stesse, indipendentemente dal loro ammontare, per cui sono messi sullo stesso piano dichiarazioni di chi ha redditi altissimi e di chi ha redditi minimi, portando ad uno squilibrio nell'attribuzione della quota dell'8 per mille. Queste sono le ragioni che mi inducono a sostenere questo emendamento.

MARTEDI' 13 NOVEMBRE 2007