giovedì 15 novembre 2007

INTERVENTO SULLA FINANZIARIA

di Antonio Del Pennino

Intervengo anch'io, signor Presidente, per chiedere di aggiungere la firma all'emendamento 30.0.13 del collega Castelli e per fare presente che qui ci troviamo di fronte ad una proposta che è davvero tale da non poter essere rifiutata da qualunque persona di buon senso. Qui si prevede di sviluppare delle ricerche per la terza e quarta generazione di energia nucleare: quelle medesime ricerche che gli stessi ministri D'Alema e Bersani, negli scorsi giorni, hanno dichiarato essere probabilmente necessarie al nostro Paese. Respingere questo emendamento significherebbe una affermazione per partito preso, comporterebbe non fare una scelta a favore di altre energie contro il nucleare, ma fare una scelta contro la libertà di ricerca, ponendo un veto nei confronti di qualunque studio sulla possibilità di utilizzare una energia che in tutto il mondo, ormai, viene vista come quella necessaria.
Roma 12 Novembre 2007

INTERVENTO SULLA FINANZIARIA

di Antonio Del Pennino


Signor Presidente, su un punto condivido il giudizio del collega Fluttero. Siamo in presenza di una formulazione dell'articolo 13 che non risolve il problema delle comunità montane, ma potremmo dire, con un gioco di parole, che in questo caso la montagna ha partorito il topolino. Tuttavia, il problema esiste e ci conviene probabilmente affrontarlo in questa sede, senza attendere il cosiddetto codice delle autonomie, i cui tempi di discussione e di esame da parte di questo ramo del Parlamento sono certamente destinati a prolungarsi notevolmente.
Con l'emendamento 13.6, interamente sostitutivo dell'articolo 13, propongo la soppressione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali: in poche parole, la soppressione tout court delle comunità montane e non una soppressione a spizzichi, come quella prevista dall'articolo 13 proposto dal Governo.
Vorrei dare ragione di questa scelta: quando furono istituite le comunità montane, nel 1971, erano tempi di ristrettissime deleghe alle Province ed era anche una fase storica il cui il problema dell'abolizione delle Province era all'ordine del giorno. Negli anni successivi si è attuata una modifica nell'equilibrio delle competenze dei poteri locali: alle Province sono stati affidati compiti in materia di difesa del suolo, deforestazione, parchi, riserve naturali con funzioni che riassorbono quelle assegnate alle comunità montane. La sopravvivenza delle comunità montane, quindi, se non abbiamo il coraggio di affrontare il tema della revisione costituzionale e dell'abolizione delle Provincia, non ha più significato. È un costo aggiuntivo e una complicazione del nostro sistema di autonomie locali.
Vorrei portare all'attenzione dei colleghi alcuni dati a sostegno della mia richiesta di sopprimere gli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali. Oggi siamo in presenza di 356 comunità montane, la cui superficie è di 16 milioni di ettari, a fronte di superfici montane del Paese di soli 10 milioni di ettari.
Le comunità montane hanno spese correnti per 852 milioni e 131.000 euro a fronte di spese dichiarate in conto capitale di 1 miliardo e 167 milioni di euro. Ma 111 milioni e 615 euro, indicati come spese in conto capitale, sono destinati all'amministrazione generale, alla gestione e al controllo. Se poi guardiamo alle tabelle relative alle spese per investimenti divise per interventi si accerta che per l'acquisizione di beni immobili sono stati spesi 353 milioni e 665.000 euro su un totale di 862 milioni e 246.000 euro. Quindi, non siamo in presenza di spese di investimento ma di rilevanti spese per acquisizione di immobili o spese correnti.
Se pensiamo che hanno 7.500 dipendenti, il 15 per cento di quelli delle Province, e che le spese per gli emolumenti dei presidenti delle comunità montane ammontano a 13 milioni e 680.000 euro, mentre non abbiamo i dati per i gettoni dei consiglieri, ci rendiamo conto come questo rappresenti un costo della politica reale che non risponde più a funzioni che debbono essere svolte, potendo essere espletate benissimo dai singoli Comuni, dall'Unione dei Comuni o dalle Province.
Quindi, la richiesta di soppressione delle comunità montane sostituendo all'articolo 13 del testo del Governo la proposta di abolizione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico degli enti locali mi sembra meritevole del consenso dell'Aula.
La riforma delle comunità montane va stralciata e quindi l'articolo 13 va trasferito tout court in una legge organica che a breve potrebbe essere discussa in quest'Aula. Esistono due possibilità. La prima è quella di inserire l'articolo 13 nella legge, già depositata, di riforma della legge n. 97 del 1994 sulla montagna. La seconda è quella di un incardinare detto articolo nella legge sui piccoli Comuni, che già è prevista in calendario al Senato. In quelle sedi un tema così delicato come quello
VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2007 seduta antimeridiana

DEL PENNINO (DCA-PRI-MPA). Signor Presidente, come avevo già accennato nel corso della seduta antimeridiana, questo è un emendamento aggiuntivo e non sostitutivo del comma 1 dell'articolo 14. Se lei intende metterlo in votazione adesso, procederei con la dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Riguardando il comma 1, è stato inserito qui.

DEL PENNINO (DCA-PRI-MPA). Signor Presidente, vorrei allora richiamare l'attenzione dei colleghi, in particolare dei senatori Salvi e Villone, su questo emendamento che propone di limitare i consigli di circoscrizione ai Comuni con più di 300.000 abitanti. Stante la legislazione vigente, siamo in presenza di una situazione in cui i Comuni con più di 30.000 abitanti possono istituire consigli di circoscrizione ed infatti abbiamo 790 consigli di circoscrizione, con 12.541 consiglieri, e dei casi clamorosi.
Cito alcuni di questi casi clamorosi: Novara, con 100.000 abitanti, 13 circoscrizioni e 249 consiglieri (1 ogni 400 abitanti); Guidonia, con 68.000 abitanti, 9 circoscrizioni e 144 consiglieri (1 ogni 450 abitanti); Gorizia, con 35.000 abitanti, 10 circoscrizioni, 132 consiglieri (1 ogni 260 abitanti). Se non rappresenta uno spreco ed un costo inutile della politica questo fatto, non so quali altri possono essere individuati.
Ecco perché propongo di modificare l'articolo del testo unico degli enti locali relativo ai consigli di circoscrizione e di limitarne la possibilità di istituzione solo nei Comuni con più di 300.000 abitanti. D'altro canto questo corrisponde pure alla logica in cui furono istituiti i consigli di circoscrizione, che rispondevano all'esigenza di articolare forme di decentramento nei grandi Comuni, nelle aree metropolitane, nei Comuni capoluogo di Regione; poi abbiamo esteso tale possibilità in modo indiscriminato con i risultati che ho poc'anzi ricordato.
Ecco perché insisto per l'approvazione di questo emendamento, che certamente può rappresentare un contributo non marginale alla riduzione dei costi della politica. (Applausi dal Gruppo UDC e del senatore Firrarello).
VENERDI' 9 NOVEMBRE 2007 seduta pomeridiana

venerdì 9 novembre 2007

CONTRO L'ABUSO DEL "TASSA E SPENDI"

L'emendamento dei repubblicani alla legge finanziaria per l'anno 2008


Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008). Emendamento presentato dal Pri.
di Antonio Del Pennino

Signor Presidente, l'emendamento 1.2 si colloca nella logica di quanto ho avuto modo di affermare ieri in sede di discussione generale, quella cioè di cercare di rovesciare la tendenza che ci sembra propria di questo Governo del tassa e spendi, fissando, quindi, un paletto preciso rispetto alla ipotesi che si verifichino entrate maggiori di quelle che sono state preventivate dal Governo, affinché queste non vengano disperse in mille rivoli, in mance e in spese minori ma vengano invece utilizzate per ridurre innanzitutto il deficit e successivamente la pressione fiscale.
Abbiamo preso per buona la cifra indicata dal Governo nell'allegato 8 alla finanziaria che aveva presentato, cioè 426.708 milioni al netto delle regolazioni contabili e debitorie; cifra che troviamo poi confermata anche nelle tabelle allegate al testo licenziato dalla Commissione.
Conseguentemente, partendo da questo dato, affermiamo che le maggiori entrate tributarie che si realizzassero nello stesso esercizio vanno prioritariamente destinate a realizzare gli obiettivi di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e sui saldi di finanza pubblica definiti dal DPEF (ed in questo non modifichiamo la previsione contenuta nel testo della Commissione). In caso in cui le maggiori entrate siano eccedenti rispetto a tali obiettivi prevediamo invece una destinazione diversa da quella decisa dalla Commissione e cioè che debba essere istituito un apposito fondo, denominato fondo per il giusto indennizzo fiscale, da destinare, con successivi provvedimenti, esclusivamente al taglio lineare dell'IRPEF e dell'IRES, non ad una riduzione selezionata come quella che prevede la Commissione.
Questo ci sembra rispondere ad una logica, secondo noi, fondamentale, quella di indicare una volontà precisa da parte del Parlamento di ridurre la pressione fiscale qualora dovessero giungere ulteriori entrate, dopo che queste sono state destinate alla riduzione del disavanzo, e porre, ripeto, un paletto al tentativo di spendere questi quattrini in modo indiscriminato. Questa è la logica del mio emendamento che raccomando al voto dell'Assemblea.

MANOVRA INCAPACE DI DARE UN INDIRIZZO AI PROBLEMI DEL PAESE

Intervento in Senato del 6 novembre 2007.
di Antonio Del Pennino


Signor Presidente, Onorevole rappresentante del Governo, Colleghi senatori, nell'accingermi a esprimere il giudizio dei repubblicani sulla legge finanziaria per il 2008 non posso non partire dalla constatazione che un coro di critiche ha accompagnato il varo di questo provvedimento, senza distinzione tra economisti amici ed analisti prevenuti.
Contro l'impostazione della manovra hanno, infatti, parlato uomini come Mario Monti, Tito Boeri, Fabrizio Galimberti, Francesco Gavazzi e Guido Tabelloni: solo per citarne alcuni.
Carenza di respiro programmatico, sottovalutazione dei gravi problemi strutturali dell'economia, mancanza di coraggio nell'affrontare gli squilibri finanziari più profondi caratterizzano, in realtà, il provvedimento al nostro esame.
Voglio citare solo un dato.
Il grafico allegato alla relazione tecnica del disegno di legge per l'attuazione del protocollo sul welfare mostra che la spesa pensionistica crescerà, nei prossimi 13 anni, di 0,1 punti di PIL ogni anno. Alla fine del periodo sarà quindi cresciuta di oltre 1 punto di PIL.
Era necessario? Nel 2006, secondo le valutazioni dell'ISTAT, la spesa previdenziale è stata pari al 43 per cento della spesa corrente, al netto dei trasferimenti e degli interessi. Era proprio indispensabile ridurre ulteriormente una vita lavorativa, già troppo breve, rispetto agli standard internazionali?
Se a questo dato sommiamo il peso della finanza decentrata, pari al 32,1 per cento, alle amministrazioni centrali non resta che il 24,9 per cento del totale.
Con queste somme dovremmo fare tutto, dalla sicurezza, alla ricerca scientifica, agli investimenti in infrastrutture. Pari negli ultimi anni ad appena 1 punto di PIL.
La cosa che più sorprende è che di questi problemi non c'è consapevolezza.
Una finanziaria inadeguata, quindi.
Inadeguata di fronte ai problemi. Incapace di tracciare una rotta che orienti le grandi scelte collettive verso traguardi in grado di mettere a riparo l'Italia da una crisi – quella internazionale – di cui è, ancora oggi, difficile valutare la portata e le possibili conseguenze.
Scarso coraggio, in definitiva, e poca lungimiranza. Conseguenze inevitabili di una maggioranza divisa su tutto. Immaginiamoci su quelle scelte di fondo che presuppongono un cemento culturale comune ed un sistema di valori condiviso.
Gli italiani non si meritano questa finanziaria.
Ci fossimo trovati di fronte ad un'irresponsabilità diffusa o al rifiuto di misurasi con le difficoltà del Paese, l'avremmo capito. Davanti a fenomeni di rigetto sarebbe stato giustificato anche un atteggiamento rinunciatario.
Ma oggi è questa la situazione? Vi sono forse stati fenomeni di apatia, di indifferenza, di non condivisione nello sforzo per superare la crisi?
Guardiamo ai dati. Il 6 dicembre dello scorso anno, ad un passo dall'approvazione della legge finanziaria, il Vice Ministro Visco presentò, qui in Senato, le sue previsioni di entrate. Le calcolò in 33,858 miliardi. Solo poche mesi dopo l'ISTAT indicò invece una cifra pari a 46,273 miliardi. Con una differenza pari a 12,414 miliardi. Forse, se le previsioni fossero state più accurate, fin da allora, si poteva scrivere una finanziaria diversa ed evitare uno shock depressivo all'economia italiana. A consuntivo si può dire che il primo "tesoretto" è stato pari a circa 1,2 punti di PIL. Tant'è che il deficit, previsto dalla nota di aggiornamento del DPEF nel 3,6 per cento, al netto delle spese una tantum, si è ridotto al 2,4 per cento. Nel frattempo, tuttavia, la pressione fiscale era aumentata di 1,7 punti e le spese di 1,9.
Nel 2007 abbiamo assistito alla stessa sceneggiata. Di nuovo le previsioni di entrata sono state sottostimate. Di nuovo il miracolo di un "tesoretto" che nasce come Venere dalla spuma del bilancio. Il totale delle maggiori entrate, accertate in due distinte tranche, è stato pari ad oltre 14,5 miliardi di euro. Ve ne sarà un terzo? Che spunterà durante la discussione in aula a Montecitorio, pronto per essere speso su richiesta della sinistra antagonista?
Non ne conosciamo l'importo esatto, ma è credibile che l'ordine di grandezza superi i 3 o 4 miliardi di euro.
E sarà un nuovo episodio della saga del "tassa e spendi".
Tutto questo non è serio. Perché delle due l'una. O vi è incapacità assoluta nel maneggiare le cifre. O non si forniscono le cifre esatte al Parlamento e a un'opinione pubblica che assiste sconcertata al susseguirsi delle docce scozzesi. Per cui in un momento siamo al 1992. Il giorno dopo i conti pubblici sono risanati, grazie all'indefessa azione del Governo.
Mi auguro che, nella sua replica, il Ministro dell'economia possa mettere fine a questo balletto ed assumersi le sue responsabilità.
Se i grandi sacrifici degli italiani, che hanno pagato senza battere ciglio più di quanto era stato loro richiesto, fossero stati premiati, oggi il deficit sarebbe stato pari all'1,4 per cento. Nel 2008 sarebbe inferiore all'1 per cento. Ad un passo dalla più virtuosa Germania.
Queste risorse, invece, sono state sprecate in una politica senza costrutto: fatta di piccole mance e di interventi a pioggia che non hanno recato vantaggio alcuno. Non hanno dato reale sollievo alle zone di disagio sociale. Non hanno rimesso in moto il processo di sviluppo, visto che l'Italia è all'ultimo posto della classifica europea. Non hanno alimentato quel processo di riforme che è indispensabile per superare lo stato di incertezza profonda in cui versa il paese.
Diciamo la verità. Quella che manca è l'indicazione di una rotta. Per cui gli interventi si sommano e si contraddicono in un gioco a saldo zero. Anzi negativo, visto la regressione in atto nei tratti di fondo dell'economia nazionale. Ma se manca la rotta, le responsabilità prime sono del Presidente del consiglio che per sopravvivere è costretto ad una continua, quanto paralizzante, opera di inconcludente mediazione.
Negli scorsi mesi, il Partito Repubblicano aveva indirizzato una lettera aperta al Ministro dell'economia. Gli avevamo offerto tutto il nostro appoggio, in una linea di rigore al servizio dei grandi interessi nazionali. Rinnoviamo la nostra disponibilità. Ma che Padoa Schioppa faccia sul serio il ministro dell'economia. Si faccia forza del suo "sapere tecnico". Da economista, qual è, ricorra al linguaggio dei numeri.
Non replichi con battute, che producono effetti controproducenti. E sappia dire di no.
I grandi ministri del Tesoro della storia italiana hanno sempre parlato poco ed operato con mano ferma. Anche quando le condizioni politiche avrebbero chiesto di largheggiare. Padoa Schioppa proviene dal vivaio della Banca d'Italia. Non dovrei essere io a ricordargli l'insegnamento di Guido Carli. Quando Antonio Giolitti, allora ministro del bilancio, inseguiva il sogno della programmazione, il Governatore della Banca d'Italia realizzava – era il 1964 – la prima stretta creditizia del dopoguerra. Perché chi ha la responsabilità delle finanze pubbliche ha una missione da compiere e non può sottostare alle contrastanti pressioni settoriali.
Non prometta, quindi, il Ministro cose che non può mantenere, come l'ipotetico taglio di spese per un importo pari a 21 miliardi di euro, come indicato nell'ultimo DPEF.
Il paese ha bisogno del linguaggio duro e amaro della verità.
Forse usarlo contribuirebbe a far saltare gli equilibri di questa composita maggioranza.
Ma è meglio che saltino questi equilibri piuttosto che non le prospettive di sviluppo italiane.