venerdì 9 novembre 2007

MANOVRA INCAPACE DI DARE UN INDIRIZZO AI PROBLEMI DEL PAESE

Intervento in Senato del 6 novembre 2007.
di Antonio Del Pennino


Signor Presidente, Onorevole rappresentante del Governo, Colleghi senatori, nell'accingermi a esprimere il giudizio dei repubblicani sulla legge finanziaria per il 2008 non posso non partire dalla constatazione che un coro di critiche ha accompagnato il varo di questo provvedimento, senza distinzione tra economisti amici ed analisti prevenuti.
Contro l'impostazione della manovra hanno, infatti, parlato uomini come Mario Monti, Tito Boeri, Fabrizio Galimberti, Francesco Gavazzi e Guido Tabelloni: solo per citarne alcuni.
Carenza di respiro programmatico, sottovalutazione dei gravi problemi strutturali dell'economia, mancanza di coraggio nell'affrontare gli squilibri finanziari più profondi caratterizzano, in realtà, il provvedimento al nostro esame.
Voglio citare solo un dato.
Il grafico allegato alla relazione tecnica del disegno di legge per l'attuazione del protocollo sul welfare mostra che la spesa pensionistica crescerà, nei prossimi 13 anni, di 0,1 punti di PIL ogni anno. Alla fine del periodo sarà quindi cresciuta di oltre 1 punto di PIL.
Era necessario? Nel 2006, secondo le valutazioni dell'ISTAT, la spesa previdenziale è stata pari al 43 per cento della spesa corrente, al netto dei trasferimenti e degli interessi. Era proprio indispensabile ridurre ulteriormente una vita lavorativa, già troppo breve, rispetto agli standard internazionali?
Se a questo dato sommiamo il peso della finanza decentrata, pari al 32,1 per cento, alle amministrazioni centrali non resta che il 24,9 per cento del totale.
Con queste somme dovremmo fare tutto, dalla sicurezza, alla ricerca scientifica, agli investimenti in infrastrutture. Pari negli ultimi anni ad appena 1 punto di PIL.
La cosa che più sorprende è che di questi problemi non c'è consapevolezza.
Una finanziaria inadeguata, quindi.
Inadeguata di fronte ai problemi. Incapace di tracciare una rotta che orienti le grandi scelte collettive verso traguardi in grado di mettere a riparo l'Italia da una crisi – quella internazionale – di cui è, ancora oggi, difficile valutare la portata e le possibili conseguenze.
Scarso coraggio, in definitiva, e poca lungimiranza. Conseguenze inevitabili di una maggioranza divisa su tutto. Immaginiamoci su quelle scelte di fondo che presuppongono un cemento culturale comune ed un sistema di valori condiviso.
Gli italiani non si meritano questa finanziaria.
Ci fossimo trovati di fronte ad un'irresponsabilità diffusa o al rifiuto di misurasi con le difficoltà del Paese, l'avremmo capito. Davanti a fenomeni di rigetto sarebbe stato giustificato anche un atteggiamento rinunciatario.
Ma oggi è questa la situazione? Vi sono forse stati fenomeni di apatia, di indifferenza, di non condivisione nello sforzo per superare la crisi?
Guardiamo ai dati. Il 6 dicembre dello scorso anno, ad un passo dall'approvazione della legge finanziaria, il Vice Ministro Visco presentò, qui in Senato, le sue previsioni di entrate. Le calcolò in 33,858 miliardi. Solo poche mesi dopo l'ISTAT indicò invece una cifra pari a 46,273 miliardi. Con una differenza pari a 12,414 miliardi. Forse, se le previsioni fossero state più accurate, fin da allora, si poteva scrivere una finanziaria diversa ed evitare uno shock depressivo all'economia italiana. A consuntivo si può dire che il primo "tesoretto" è stato pari a circa 1,2 punti di PIL. Tant'è che il deficit, previsto dalla nota di aggiornamento del DPEF nel 3,6 per cento, al netto delle spese una tantum, si è ridotto al 2,4 per cento. Nel frattempo, tuttavia, la pressione fiscale era aumentata di 1,7 punti e le spese di 1,9.
Nel 2007 abbiamo assistito alla stessa sceneggiata. Di nuovo le previsioni di entrata sono state sottostimate. Di nuovo il miracolo di un "tesoretto" che nasce come Venere dalla spuma del bilancio. Il totale delle maggiori entrate, accertate in due distinte tranche, è stato pari ad oltre 14,5 miliardi di euro. Ve ne sarà un terzo? Che spunterà durante la discussione in aula a Montecitorio, pronto per essere speso su richiesta della sinistra antagonista?
Non ne conosciamo l'importo esatto, ma è credibile che l'ordine di grandezza superi i 3 o 4 miliardi di euro.
E sarà un nuovo episodio della saga del "tassa e spendi".
Tutto questo non è serio. Perché delle due l'una. O vi è incapacità assoluta nel maneggiare le cifre. O non si forniscono le cifre esatte al Parlamento e a un'opinione pubblica che assiste sconcertata al susseguirsi delle docce scozzesi. Per cui in un momento siamo al 1992. Il giorno dopo i conti pubblici sono risanati, grazie all'indefessa azione del Governo.
Mi auguro che, nella sua replica, il Ministro dell'economia possa mettere fine a questo balletto ed assumersi le sue responsabilità.
Se i grandi sacrifici degli italiani, che hanno pagato senza battere ciglio più di quanto era stato loro richiesto, fossero stati premiati, oggi il deficit sarebbe stato pari all'1,4 per cento. Nel 2008 sarebbe inferiore all'1 per cento. Ad un passo dalla più virtuosa Germania.
Queste risorse, invece, sono state sprecate in una politica senza costrutto: fatta di piccole mance e di interventi a pioggia che non hanno recato vantaggio alcuno. Non hanno dato reale sollievo alle zone di disagio sociale. Non hanno rimesso in moto il processo di sviluppo, visto che l'Italia è all'ultimo posto della classifica europea. Non hanno alimentato quel processo di riforme che è indispensabile per superare lo stato di incertezza profonda in cui versa il paese.
Diciamo la verità. Quella che manca è l'indicazione di una rotta. Per cui gli interventi si sommano e si contraddicono in un gioco a saldo zero. Anzi negativo, visto la regressione in atto nei tratti di fondo dell'economia nazionale. Ma se manca la rotta, le responsabilità prime sono del Presidente del consiglio che per sopravvivere è costretto ad una continua, quanto paralizzante, opera di inconcludente mediazione.
Negli scorsi mesi, il Partito Repubblicano aveva indirizzato una lettera aperta al Ministro dell'economia. Gli avevamo offerto tutto il nostro appoggio, in una linea di rigore al servizio dei grandi interessi nazionali. Rinnoviamo la nostra disponibilità. Ma che Padoa Schioppa faccia sul serio il ministro dell'economia. Si faccia forza del suo "sapere tecnico". Da economista, qual è, ricorra al linguaggio dei numeri.
Non replichi con battute, che producono effetti controproducenti. E sappia dire di no.
I grandi ministri del Tesoro della storia italiana hanno sempre parlato poco ed operato con mano ferma. Anche quando le condizioni politiche avrebbero chiesto di largheggiare. Padoa Schioppa proviene dal vivaio della Banca d'Italia. Non dovrei essere io a ricordargli l'insegnamento di Guido Carli. Quando Antonio Giolitti, allora ministro del bilancio, inseguiva il sogno della programmazione, il Governatore della Banca d'Italia realizzava – era il 1964 – la prima stretta creditizia del dopoguerra. Perché chi ha la responsabilità delle finanze pubbliche ha una missione da compiere e non può sottostare alle contrastanti pressioni settoriali.
Non prometta, quindi, il Ministro cose che non può mantenere, come l'ipotetico taglio di spese per un importo pari a 21 miliardi di euro, come indicato nell'ultimo DPEF.
Il paese ha bisogno del linguaggio duro e amaro della verità.
Forse usarlo contribuirebbe a far saltare gli equilibri di questa composita maggioranza.
Ma è meglio che saltino questi equilibri piuttosto che non le prospettive di sviluppo italiane.

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