lunedì 10 dicembre 2007

Intervento del Senatore Antonio Del Pennino al convegno su “SICUREZZA E TERRITORIO” promosso dal Consigliere De Angelis presidente del Gruppo Misto di Palazzo Marino

Il tema della sicurezza e della lotta alla criminalità è da sempre problema per i governanti.

Ma si presenta con particolari caratteristiche nelle moderne società industriali.

Aggravato dal problema del fenomeno della globalizzazione e dalle grandi ondate migratorie.

Aggravato in quelle realtà che vedono confinanti società del benessere e realtà sottosviluppate.

Non è certo un problema solo italiano ed europeo. Basti pensare a quanto avviene alla frontiera tra USA e Messico.

L’Italia però è più esposta di altri. Per la vicinanza coi paesi africani del Mediterraneo e dei paesi europei che escono dall’esperienza comunista che aveva procurato condizioni di grave indigenza.

Ma esposte anche per la presenza e l'incidenza di grandi organizzazioni criminali, sempre alla ricerca di manovalanza, da arruolare e che trovano in molti disperati brodo di coltura.

Questo pone problemi alla politica e agli amministratori pubblici, stretti tra due opposte esigenze.

Quella di reprimere per garantire la sicurezza dei cittadini, e quella di non violare diritti elementari di libertà.

E il rischio è che il pendolo tra queste due opposte esigenze nelle sue oscillazioni non trovi il punto di equilibrio.
Che si ceda a tentazioni ultrarepressive, identificando emarginazione sociale e micro – criminalità senza cercare, proprio per estirpare la seconda, di affrontare la prima. O si indulga ad un “buonismo caritativo”, giustificando in nome della solidarietà al “povero” all’”emarginato” anche violazioni della legge, e delle normali regole di convivenza.

Una risposta politica seria deve cercare di prevenire, più che reprimere, ma non può sfuggire al dovere di interventi repressivi quando questi si rendono necessari per garantire i diritti del cittadino, rispetto a chi non li rispetta.

E’ un punto di equilibrio difficile da raggiungere, sia per i legislatori che per gli amministratori, entrambi sottoposti a contrastanti pressioni.

Ma è una ricerca, quella del punto di equilibrio che ci deve sempre ispirare.
E lo deve fare oggi con riferimento a due temi che abbiamo nell’agenda parlamentare.
Mi riferisco al decreto legge relativo all’allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza di cittadini comunitari, e al disegno di legge annunciato dal governo, anche se non ancora presentato alle Camere, relativo alle nuove attribuzioni ai Sindaci di funzioni di competenza statale e a una serie di disposizioni relative a reati contravvenzionali che violano il tessuto urbano.

Sul 1° punto:
si tratta di un decreto modificativo del decreto legislativo della direttiva 2004/38/CE.

Ora la direttiva 2004/38/CE è stata redatta al fine di tutelare il cittadino comunitario dalle eventuali restrizioni di Stati membri dell’Unione del suo diritto di libera di circolazione. Essa, quindi è orientata a proteggere chi si presume entri regolarmente in un altro Stato dell’ Unione,è cioè concentrata sull’ingresso di chi vuole stabilirsi per lavoro e protegge costui da un regime di facili allontanamenti.
La realtà deve invece tenere conto che esiste una fascia di cittadini provenienti da Paesi comunitari, che non hanno nessuna intenzione di farsi riconoscere, di rispettare la legge e di lavorare legalmente: persone che entrano nel territorio nazionale per porsi ai margini della vita sociale, e spesso delinquere dopo averlo già fatto nei Paesi d’origine.
La situazione di costoro, pur non essendo forse contemplata al momento dell’emanazione della direttiva, trovava, però, un condizionamento al comma 5 dell’art. 5 della stessa che prevede, a proposito del diritto d’ingresso: “Lo Stato membro può prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.
Tale disposizione non è stata però recepita dal decreto legislativo 30/2007 che nulla prevede sulla dichiarazione d’ingresso e solo prescrive all’art. 9 l’obbligo, per i cittadini dell’Unione che intendono soggiornare in Italia per un periodo superiore a 3 mesi, di iscriversi all’anagrafe.
Ora è evidente che questa mancata attuazione nella nostra legislazione di un obbligo che la direttiva consente di prescrivere impedisce ogni effettiva verifica sulla data di ingresso del cittadino comunitario e conseguentemente della data ex quo lo stesso deve richiedere il permesso di soggiorno, favorendo la permanenza oltre i 3 mesi consentiti.
Né questa disposizione viene modificata dal decreto presentato dal governo 1/11/2007 che non fissa alcun termine inderogabile per il cittadino comunitario, una volta entrato, di dichiarare la sua presenza sul territorio nazionale.
Ecco un esempio in cui la carenza del legislatore nel fissare una norma in prevenzione, finirà poi col dover imporre il ricorso a misure repressive.

Il provvedimento di allontanamento di coloro che non hanno acquisito il diritto di soggiorno non è precluso dalla direttiva n. 38. La direttiva 38 vieta l’immediato allontanamento solo per coloro che, avendo già maturato il “diritto di soggiorno” – perché originariamente in possesso dei requisiti -, poi hanno perduto i requisiti medesimi; non riguarda invece chi, non avendo provveduto né a dichiarare la propria presenza né a iscriversi all’anagrafe, non può rivendicare il diritto di soggiorno.
Anche su questo punto il decreto legislativo 30/2007 appare più lassista della direttiva. Né a tal proposito innova il nuovo decreto legge del governo.
E’ evidente che se, rispetto a una direttiva europea garantista, il legislatore nazionale introduce una normativa che allarga le possibilità di permanenza sul territorio nazionale e riduce la possibilità di allontanamento questo suona come un richiamo alle presenze illegali nel nostro paese.
Ma vi è di più.
Il decreto legge presentato dal governo rappresenta la correzione di “un errore tecnico” – contenuto nel decreto legislativo 30/2007 – errore tecnico, come ha correttamente riconosciuto il Ministro Amato alla 1a Commissione del Senato il 25/9/2007, che ha in qualche modo ridotto al possibilità di espulsione di un “cittadino comunitario”.
Si tratta della mancata previsione di ricorrere all’espulsione con l’accompagnamento alla frontiera per quei cittadini per cui esistono, secondo i termini della direttiva, motivi imperativi di Pubblica Sicurezza.
E’ una questione annosa, che si pose già in occasione del decreto Martelli del ‘90 sugli extracomunitari. Quello dei limiti alle espulsioni con accompagnamento alla frontiera.
E l’esperienza indica che l’espulsione attraverso intimazione senza accompagnamento alla frontiera resta una grida manzoniana.
E anche nella vigenza del decreto 181/2007 che lo ha introdotto per i cittadini comunitari come caso straordinario i dati ci dicono che su 177 provvedimenti di espulsione decisi dopo l’entrata in vigore del decreto, secondo dati del Ministero degli Interni, solo 78 sono stati eseguiti per motivi imperativi.

Alcuni brevi cenni ora sul disegno di legge che dovrebbe consentire a livello locale maggiori possibilità di intervento per la sicurezza della città.
Si tratta del provvedimento richiesto tra agosto e settembre a gran voce soprattutto da sindaci del centro – sinistra (Domenici, Cofferati, Chiamparino).
Il disegno di legge governativo – ammesso che rimanga quello – ragione per cui il giudizio è provvisorio – prevede tre misure utili: maggiori sanzioni per l’impiego dei minori nell’accattonaggio, consente l’accesso della polizia municipale alla banca dati della polizia statale, contiene nuove norme per la pubblicazione del provvedimento nella casa comunale in sostituzione delle notificazioni per quanto riguarda le contestazioni delle violazioni amministrative.
Ma mantiene come perseguibili solo a querela di parte i reati di danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di cose altrui , occupazione di suolo pubblico e generica rimane, in quest’ultimo caso, la previsione che i sindaci possano ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti.
Più incisiva invece la disposizione che prevede, se si tratta di occupazione a fini di commercio la chiusura dell’esercizio.
Ma quella che appare ancora vaga e non incidente è la nuova formulazione dell’art. 54 del TUEL sulle competenze dei Sindaci, che affida loro generici compiti relativi alla” vigilanza per quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico, informandone il prefetto” e quello di “assicurare la cooperazione della Polizia Locale con le forze di polizia statale, secondo forme che saranno disciplinate con apposito regolamento del Ministero dell’Interno”, che chissà quando verrà.
Anche qui quindi, per tornare a quanto dicevo all’inizio, siamo in presenza di norme che non garantiscono la prevenzione e si riducono a contemplare interventi repressivi di dubbia efficacia.
E’ necessario invece uno sforzo di tutta la politica per vincere l’illusione di poter convivere con le baraccopoli, gestendo in modo indolore l’immigrazione irregolare.
E su questo terreno sono chiamate in prima fila le responsabilità delle amministrazioni locali.
Ma è anche necessario uno sforzo proprio nella logica della prevenzione, per evitare – uso io, laico non sospetto di debolezze verso Oltretevere - le parole del Cardinal Martini: “per evitare, cioè, uno scontro di civiltà, ma dimostrare che noi cresciamo e maturiamo proprio nel confronto col diverso”.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che un bel post. Adoro leggere questi tipi o articoli. Posso? T aspettare di vedere ciò che altri hanno da dire..