martedì 24 luglio 2007

La legge elettorale non garantisce maturità politica

Il bipolarismo viziato/In Italia nascono coalizioni eterogenee incapaci di reale governabilità

Intervento in Commissione Affari Costituzionali del Senato, 24 luglio 2007.

di Antonio Del Pennino

Mi dispiace non unirmi al coro pressoché unanime dei colleghi che hanno esaltato il valore del bipolarismo e del sistema maggioritario come strumento per realizzare il bipolarismo. Si afferma che nella cosiddetta seconda Repubblica, quella che stiamo vivendo, si è realizzato l'obiettivo della alternanza come effetto della legge elettorale maggioritaria. Obiettivo che nella vituperata prima Repubblica non era stato possibile raggiungere per via del sistema proporzionale. Mi sembra una assoluta banalità.
Se nella prima Repubblica non è stato possibile realizzare una piena democrazia dell'alternanza e siamo stati costretti ad un bipartitismo imperfetto, per usare l'espressione di Giorgio Galli, questo non è stato frutto della legge elettorale, ma della condizione internazionale, della divisione del mondo in due blocchi e dell' egemonia che un PCI legato all'URSS, aveva sulla sinistra italiana.
E non è un caso che solo dopo l'89, la caduta del muro di Berlino, la fine della contrapposizione tra Est e Ovest, sia diventata realistica l'ipotesi di un alternanza perché, anche grazie alla trasformazione del PCI in PDS, si rendeva possibile un ruolo di governo della sinistra. Il passaggio dal proporzionale al maggioritario non fu determinante. La valutazione quindi sul sistema elettorale non può rapportarsi al fatto che esso sia in grado o meno di realizzare una democrazia dell'alternanza, quanto piuttosto alla sua capacità di garantire sia una reale governabilità, sia una possibilità di espressione delle diverse realtà culturali e ideali presenti nel paese.
Da questo punto di vista il nostro sistema elettorale ha realizzato un bipolarismo che, per dirla con il prof. Sartori, "non è immaturo né maturo, è semplicemente sbagliato". Perché è un bipolarismo viziato che costringe all'inseguimento del voto marginale, e quindi a coalizioni eterogenee che poi non sono in grado di assicurare una reale governabilità ma dànno vita a maggioranze contraddittorie, rissose, incapaci di una effettiva guida dei processi economici e sociali.
Nei paesi europei in cui si è realizzato un reale sistema bipolare, questo è avvenuto indipendentemente dalla legge elettorale, perché storicamente sono cresciute forze politiche omogenee con vocazione maggioritaria che hanno saputo rendersi interpreti delle esigenze prevalenti nella società e dare ad esse una organica risposta.
Ma questo è stato frutto di un processo culturale e politico che la legge elettorale ha accompagnato, non imposto. Le leggi elettorali condizionano, ma sono anche condizionate dai processi politici. Se si pensa che la legge elettorale di per sé possa condizionare processi politici che non sono ancora maturati, si commette un errore di prospettiva.
Per questo giudico illusoria l'ipotesi referendaria perché essa costringerebbe, per vincere le elezioni, ad un'aggregazione forzata di soggetti non omogenei, tra i quali, all'indomani del voto, si riaprirebbe un conflitto che renderebbe difficile ogni azione di governo. Ma per gli stessi motivi, proprio perché non esistono in Italia, per usare l'espressione di Sartori, le condizioni di "un bipolarismo rigido", ma piuttosto vi è l'esigenza di un "bipolarismo flessibile" (e quanto Sarkozy sta realizzando in Francia dovrebbe insegnarci qualcosa) l'ipotesi che ci ha presentato il Presidente Bianco non mi convince.
Credo piuttosto che per la realizzazione di un "bipolarismo flessibile" sia meglio una legge elettorale che riprenda il cosiddetto modello tedesco. E lo dico sapendo che questa soluzione inevitabilmente comporterebbe un'alta soglia di sbarramento che penalizzerebbe la forza politica che rappresento. Ma lo affermo perché guardo non a interessi di bottega, ma ad un'esigenza generale di governabilità del paese.
Ma se contro queste mie considerazioni si formerà, come temo, una convergenza sull'ipotesi di una soluzione che preveda un premio di maggioranza per la coalizione vincente, allora è necessario adottare la soluzione proposta nel DDL del Sen. Cutrufo. Cioè una soluzione che, proprio perché prevede il premio di maggioranza non stabilisce alcuna forma ,neppure minima, di sbarramento. E questo non solo per consentire un diritto di tribuna alle diverse espressioni politiche e culturali presenti nel paese, ma anche perché, una volta garantita la cosiddetta governabilità col premio di maggioranza, assegnato anche alle coalizioni che non raggiungono il 51%, non ha senso imporre a chi del premio di maggioranza non vuole usufruire, ma vuole mantenere una propria individualità, lo scotto dell'esclusione dalla rappresentanza parlamentare.
Mi sembra a questo proposito assai pertinente l'osservazione di Giuseppe De Rita che proprio la scorsa settimana ha sottolineato come "non si sia in grado di far uscire la politica italiana e la sua classe dirigente dall'attuale stato di confusione se non si prende coscienza che siamo di fronte al tramonto di un ciclo di cultura e impostazione politica. Il declino del ciclo che ha privilegiato il decisionismo, la concentrazione e la verticalizzazione del potere sacrificando ogni meccanismo e sede di rappresentanza".
D'altro canto è stato proprio il Presidente della Repubblica a ricordarci che non esiste in nessun altro paese una legislazione elettorale che preveda contemporaneamente premio di maggioranza e soglia di sbarramento.
Detto questo sulla legge elettorale, desidero aggiungere una considerazione relativa al rapporto tra elettori ed eletti, riprendendo un'indicazione già data dal collega Nania.
E' evidente a tutti il distacco tra elettori ed eletti che l'attuale normativa determina, prevedendo forme di designazione dei parlamentari da parte dei vertici dei partiti senza il correttivo delle preferenze. Non ripropongo il ritorno al sistema delle preferenze, ma ritengo che per superare l'attuale condizione sia necessaria una regolamentazione giuridica dei partiti che ne garantisca la democrazia interna e, come proponeva appunto Nania, un sistema di primarie vere, regolamentate per legge (non quelle dei gazebo) per la selezione dei candidati.
Ma questo presuppone, Signor Presidente, che la Commissione parallelamente alla discussione sulla legge elettorale affronti anche i disegni di legge sull'attuazione dell'art. 49 della Costituzione che avevamo iniziato e poi inopinatamente abbandonato.
Se le due cose non andranno avanti di pari passo, anche con sedute straordinarie della Commissione, non credo che saremo in grado di dare risposta ai problemi di un corretto assetto del nostro sistema istituzionale.

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