martedì 24 luglio 2007

UNIRE IL FEDERALISMO FISCALE E LA LOTTA AGLI SPRECHI

Riordinamento degli Enti Locali. Manca un organico disegno di semplificazione dei poteri.

Intervento in Commissione Affari Costituzionali del Senato, 12 luglio 2007.

di Antonio Del Pennino


Preliminarmente desidero rilevare, come hanno fatto altri colleghi, l'inopportunità di affidare al Legislatore Delegato l'intera materia relativa al riordinamento degli enti locali.
In particolare addirittura alcuni dubbi di costituzionalità potrebbero sorgere per il fatto che la normativa elettorale sia oggetto di delegazione legislativa.
Ritengo che comunque vada ridotto il numero delle deleghe e disciplinata col procedimento legislativo ordinario una serie di materie.
D'altro canto molte delle disposizioni contenute nel testo del disegno di legge presentano imprecisioni, incongruenze e contraddizioni che sono state ben evidenziate nelle schede di lettura del Servizio Studi.
E che, come sottolinea lo stesso documento del Servizio Studi, sono destinate , se non corrette, ad aprire problemi interpretativi di non poco momento. Anche se so che molte di queste incongruenze dipendono dalla confusa e improvvida riforma del Titolo V
Per altro il disegno di legge lascia aperti alcuni problemi come quello della ridefinizione dei rapporti e delle competenze fra Capo dell'Amministrazione, Giunta, Consiglio e dirigenti, ridefinzione necessaria per correggere gli squilibri oggi esistenti. Così come va specificato meglio cosa si intende per funzione apicale evitando la confusione tra Segretari e Direttori generali ( per cui appare generica la previsione contenuta all'art. 2 comma 4 lettera cc).
Ma su questi punti potremo tornare in sede di discussione degli emendamenti.
Quelli che mi preme sottolineare ora sono due problemi più squisitamente politici che il disegno di legge non risolve o forse addirittura complica. Al di là delle affermazioni di puro principio, manca un organico disegno di semplificazione del nostro sistema di poteri locali.
L'art.1 lettera d) stabilisce che i decreti delegati si debbano ispirare al principio della :" obbligatorietà dell'esercizio associato di determinate funzioni amministrative da parte degli enti di minori dimensioni demografiche".
Il successivo art.2 comma 3, lettera b) , affida ai decreti delegati il compito di :" prevedere che determinate funzioni fondamentali, da individuarsi in sede di decreto delegato possano essere esercitate in forma associata". Quindi l’obbligo diventa facoltà.
L'art. 2 comma 4, lettera n) , poi, stabilisce che occorre" prevedere che le forme associative tra gli enti locali assicurino una semplificazione strutturale ed organizzativa con organi composti esclusivamente da amministratori locali".
Ma lo stesso articolo 2 al 3° comma , lettera i) afferma che i decreti delegati dovranno indicare i principi sulle forme associative e per la razionalizzazione, la semplificazione e il contenimento dei costi per l'esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, ispirati al criterio dell'unificazione per i livelli dimensionali ottimali attraverso l'eliminazione di sovrapposizione di ruoli e di attività e temendo conto delle forme associative esistenti, in particolare delle unioni di comuni e delle peculiarità dei territori montani ai sensi dell'articolo 44, secondo comma della Costituzione. Salva, quindi, la specificità delle comunità montane.
Il tutto in un contesto in cui si valorizza il ruolo della Provincia e si considera (art. 2, comma 3, lettera d) che tra le funzioni fondamentali della Province vi siano quelle che le connotano come enti di governo di area vasta, nonché, si prevede (art.2 comma 3, lettera c) che l'esercizio delle funzioni fondamentali possa essere svolto unitariamente sulla base di accordi tra Comuni e Province.
Il mio partito è sempre stato per l'abolizione delle Province e per esaltare forme intermedie di collaborazione tra i Comuni come unica dimensione sub-regionale, e non sconfesso tale impostazione.
Ma so che al di là di singole adesioni, questa tesi è minoritaria fra le forze politiche e comunque il problema andrebbe affrontato con una modifica costituzionale.
Per questo, affrontando oggi la materia degli enti locali a costituzione invariata e arricchendo di nuove funzioni le province, credo si renda indispensabile una drastica semplificazione degli organismi - sub - provinciali. A cominciare dalle Comunità Montane.
Quando esse furono istituite nel 71' erano tempi di ristrettissime deleghe alla Province ed era aperto il dibattito sull'abolizione delle province stesse.
Oggi con le deleghe sulla difesa del suolo, sulla forestazione, sui parchi e le riserve naturali e con le nuove funzioni che verranno ad esser assegnate, le Province hanno ridotto il minimo il ruolo delle Comunità Montane. La loro sopravvivenza, in una fase in cui è aperta una seria riflessione sui costi della politica, appare davvero ultronea.
Basti pensare al fatto che siamo oggi in presenza di 356 Comunità Montane, diverse delle quali riguardano territori parzialmente ,o per nulla, montani ( la superficie coperta dalle Comunità Montane è di ha 16.371.885, la superficie montana totale del paese è ha 10.611.208), con 4.201 comuni e 10.822.609 abitanti. Che hanno spese correnti per 852.131,000 di euro (al 2003) a fronte di spese dichiarate in conto capitale pari a 1.167.000.000 di euro ( ma 111.615.000 di euro delle spese in conto capitale sono indicati per Amministrazione generale, gestione e controllo) . E se poi guardiamo alle tabelle relative alle spese per investimenti divise per interventi si accerta che per l'acquisizione di beni immobili, la spesa è stata di 353.665.000 di euro su un totale di 862.246.000 di euro. Che hanno oltre 7.500 dipendenti (il 15% di quelle delle Province) e che le spese per gli emolumenti dei presidenti ammontano a 13.680.000 euro, mentre mancano i dati dei gettoni per i consiglieri (che sono 12.820).
Se a questo si aggiunge il fatto che oggi esistono 271 Unioni di Comuni, che associano 1.217 Comuni per una popolazione totale di 3.812.194 abitanti, emerge con chiarezza che le generiche disposizioni del disegno di legge governativo non sono in grado di risolvere il problema della semplificazione del nostro sistema periferico e la conseguente riduzione dei costi della politica.
Occorre abolire le Comunità Montane, e su questo mi riservo di presentare un emendamento soppressivo degli artt.27,28,29, del T.U. sugli enti locali e conseguentemente del 5° comma dell'art.4 della legge 5 giugno 2003 n°131.
Ma occorre definire una più rigorosa disciplina anche per le Unioni Comunali, stabilendo che le stesse debbano essere uniche e polifunzionali per ogni area territoriale.
E occorrerebbe altresì prevedere, fermo il principio che degli organi delle forme associative di Comuni devono far parte solo amministratori locali ( lettera n, comma 4 art.2) , che non siano cumulabili non solo le indennità di funzione, ma anche i gettoni di presenza per chi ricopre un incarico nel Consiglio Comunale e nell'unione di Comuni , innovando l'art.82 del T.U.E.L.

Il nodo Consorzi
Ma occorre riflettere anche sui Consorzi.
I Consorzi di funzione (esempio Polizia Municipale / Segretari Comunali) dovrebbero confluire nelle unioni di comuni. Oltre tutto dette funzioni possono essere oggetto di iniziativa comune anche attraverso le convenzioni previste dal T.U.E.L.
Per i Consorzi di servizi la normativa andrebbe rivista nel quadro del DDL sui servizi pubblici degli enti locali (così come con lo stesso andrebbe coordinata la delega di cui alla lettera r) comma 4, art.2) se vogliamo liberalizzare il settore.
Inoltre sulle Città metropolitane, il DDL è una sepoltura senza funerale. Una sepoltura perché affidare all'iniziativa degli enti locali la costituzione delle Città metropolitane, sulla base delle esperienze passate, significa non farne niente. Senza funerale perché la Città Metropolitana delineata del DDL governativo non servirebbe a niente.

Dov’è la novità
Smettiamola di scherzare su questo tema. O la Città Metropolitana rappresenta una vera innovazione o togliamola dalla Costituzione.
Non esiste un ente costituzionale "eventuale" affidato all'iniziativa degli enti locali. Nemmeno il federalista più spinto , se dotata di buon senso , lo crederebbe. Ora il DDL governativo affida ad una serie di soggetti, difficilmente conciliabili tra loro, l'iniziativa.
Inoltre stabilisce come unico soggetto che potrebbe autonomamente promuovere l'iniziativa il Comune Capoluogo, che si troverebbe in posizione egemone in quanto sopravvivrebbe alle Città Metropolitane suddividendosi solo in municipi , ma sostanzialmente restando il "dominus".
Se non si rompe l'unità del Comune Capoluogo, i comuni minori non ci staranno mai. Le competenze poi non possono essere sole quelle delle vecchie Province. Altrimenti dove sarebbe la novità?
Occorre prevedere anche l'attribuzione alla Città Metropolitana delle funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale, come prevedeva l'art.5 della legge 142.

Circoscrizioni
Il discorso sulla Città Metropolitana e sulle necessarie articolazioni del capoluogo in municipi deve indurre a una riflessione sul problema delle circoscrizioni. Anche con riferimento ai costi della politica.
Oggi abbiamo in Italia 790 circoscrizioni con 12.541 consiglieri.
435 con 5562 consiglieri, sono in comuni sotto i 100.000 abitanti.
Credo vada modificato l'art.17 del T.U.E.L. limitando i consigli di circoscrizione ai comuni con più di 300.000 abitanti (9 comuni) (2468 consiglieri oggi), e fissando un limite massimo per il numero dei consiglieri e un tetto per le indennità.
Sono questi i principali nodi politici che al di là della scelta delle materie da regolare con un intervento legislativo ordinario e di quelle per cui è possibile il ricorso alla delega, debbono , a mio avviso, essere sciolti.
Così come ritengo che comunque ogni decisione su questo provvedimento sarà monca ed inadeguata se non la collegheremo col disegno di legge sul federalismo fiscale.

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